Pubblicato su Politica Domani Num 10 - Gennaio 2002
Bambini
INFANZIA USATA COME SPOT
L'abuso psicologico dei mezzi di comunicazione
Sara Maone
Quanto tempo passano i minori davanti
alla TV? Secondo dati recenti, si oscilla dalle due alle quattro ore
giornaliere. Ogni giorno i bambini stanno lì, con gli occhi puntati
verso quelle successioni di immagini e di colori che sembrano catturre
tutti i loro sensi, spesso in completa solitudine. Il tempo passato
davanti alla televisione è superiore a quello impiegato in attività scolastiche, sportive o relazionali: 1.100 ore di TV all'anno contro
800 ore di scuola.
È come se vivessero in un
loro mondo virtuale, fuori dalla realtà, creato da spot e trasmissioni.
Le emittenti televisive italiane sono 711; il numero degli apparecchi
televisivi nelle case è pari a 32 milioni (mentre, in tutta Italia,
gli schermi cinematografici sono soltanto 3.000). Televisione e soprattutto
computer è stato provato che incidono sulle nuove generazioni
molto più precocemente e più velocemente rispetto alla
generazione precedente. Il fatto è, forse, che i ritmi di vita
degli adulti sono divenuti frenetici e quasi nessuno ormai sceglie di
dedicare un po' di " prezioso tempo" ai minori, quasi nessuno
ha la volontà e probabilmente anche la capacità di penetrare
nel loro piccolo mondo esclusivo. Peggio ancora, la pubblicità,
o meglio il racconto pubblicitario della vita dei bambini, sembra essere
diventato l'unico mezzo con cui gli adulti riescono a comunicare con
i bambini e ad indicare loro strade da percorrere e scelte di vita.
Oltre il 60% dei bambini tra i sei e i dieci anni desidera un prodotto
perché lo ha visto in televisione. La pubblicità influenza
il 75% delle scelte dei bambini che comprano e consumano le stesse cose
dei loro coetanei attori pubblicitari, i quali, bravissimi nella loro
apparente innocenza e spontaneità, riescono a trasferire sul
prodotto in vendita la propria autenticità e bontà. Si
tratta di una reazione a catena, infatti il 25% delle volte, sono gli
amici a determinare le scelte dei più piccoli.
Si deduce dai dati ed è confermato dalla nostra stessa personale
esperienza, osservando per esempio un gruppo di scolari all'uscita dalla
scuola, che vi è nei bambini e negli adolescenti un forte bisogno
di omologarsi, di essere uguali l'uno all'altro. Non si tratta tuttavia
di una tendenza consapevole è piuttosto una necessità
che si autoimpone con la quieta tranquillità delle cose comuni.
Tutti si riconoscono nelle stesse cose: abiti, snack, taglio e colore
dei capelli
Merendine, giocattoli, vestiti, scarpe e maglie griffate, nessuna delle
cose che servono e di quelle che non servono (chi è più
in grado di tracciare un confine tra bisogno e desiderio, tra essenziale
e superfluo?) è trascurata e il grado di martellamento pubblicitario
è direttamente proporzionale al grado di superfluità della
cosa pubblicizzata. Insomma l'imperativo è quello di "essere
alla moda": il taglio di capelli come l'ultimo gruppo rock, un
piccolo tatuaggio, tutto è avvolto dal consumismo, tanto che
da ogni segno ostentato è possibile risalire ad uno spot pubblicitario,
ad un personaggio che conta e che appare.
È inevitabile, i bambini che abbiamo sotto gli occhi sono figli
della televisione, dei videogiochi e, soprattutto, della pubblicità.
Sono proprio loro che dichiarano di amarla e che con fragile ingenuità
si affidano ai suoi pressanti suggerimenti, che, sempre meno "consigli
per gli acquisti", sembrano piuttosto ordini perentori. Ciò
che la pubblicità indica ha la forza di modellare bisogni e desideri,
costringe a sognare entro una gamma definita di sogni di cui l'acquisto
e il consumo sono semplici prolungamenti nella vita reale.
Che fine hanno fatto i mondi fatati e colmi di serenità dei bambini?
[Dati ricavati dal "1° Rapporto Nazionale
sulla Condizione dell'Infanzia e della Preadolescenza" a cura dell'EURISPES
e di TELEFONO AZZURRO]

