Pubblicato su politicadomani Num 103/104 - Giugno/Luglio 2010

Un Governatore per l’Italia
Affrontare la crisi a viso aperto
Nelle conclusioni alla Relazione Annuale della Banca D’Italia all’Assemblea, il ritratto di un paese in sofferenza ma che ce la può fare

 

Serio fino al punto da sembrare severo nelle sue uscite ufficiali, il Governatore della Banca D’Italia Mario Draghi ha sorpreso l’assemblea e i giornalisti quando, in occasione della presentazione della Relazione Annuale, è uscito dalla formalità della relazione ufficiale per sottolineare a braccio le vere vittime e i veri colpevoli della crisi in Italia: sono gli evasori fiscali che fanno “macelleria sociale” in questo paese, dove i più colpiti e le vere vittime della crisi sono i giovani, ha detto riprendendo uno slogan caro al Ministro dell’Economia Tremonti.
Nelle diciannove pagine lette davanti all’assemblea, oltre a dare alcuni dei tanti significativi dati contenuti nella Relazione, Draghi ha anche illustrato le dinamiche della crisi denunciandone le cause e suggerendo le strategie per uscirne. Non sconfina però il Governatore. Coerente con il suo ruolo, si limita a sottolineare quanto di positivo è stato fatto per difendere il paese dal rischio default e a sostenere, condividendole, alcune linee di indirizzo che questo Governo dice di voler adottare: la lotta all’evasione fiscale, innanzitutto, e il decentramento economico, amministrativo e fiscale agli enti locali.
È evidente, nella relazione letta da Draghi, una calorosa, trepidante e attentissima partecipazione ad un processo di cambiamento che, innescato da questa crisi, investe i paesi “avanzati”.
Si tratta di un cambiamento profondo che richiede l’attenzione e l’intervento di tutte le forze politiche ed economiche, italiane ed europee, perché dalla crisi si esca in tempi non troppo lunghi. Innescata, infatti, dai valzer finanziari dei facili crediti negli Usa, dalla creatività di mercati finanziari tanto aggressivi quanto inconsistenti, e dal gigantismo delle spese favorito da una politica fatta di “disattenzione” ai conti pubblici, di sprechi enormi, di cedimenti alla corruzione e alla collusione anche con gruppi criminali, questa è di fatto una crisi epocale. Essa ha il merito - che va colto dalla politica - di costringerci a spostare la scala dei valori da quel muro di fumo e di gelatina a cui da vent’anni ci eravamo appoggiati e abituati, alla solidità dei valori tradizionali che hanno permesso il progresso e la crescita di questo paese: onestà, trasparenza, famiglia, lavoro, buona amministrazione.
Non nasconde, il Governatore, la drammaticità della situazione italiana e nell’asciuttezza dell’intervento si esprime in modo durissimo. Tuttavia, nella analisi, porta esempi concreti di buone pratiche: le imprese che meglio hanno retto l’urto, per esempio, sono quelle che prima della crisi avevano avviato processi di ristrutturazione, ha detto. La solidità del nostro sistema bancario ha fatto da cuscinetto alla crisi e l’estensione degli ammortizzatori sociali ne ha attenuato i costi immediati.
Anche i nostri sistemi di vigilanza e di controllo su banche e intermediari finanziari è stata da noi più efficace. Le nostre agenzie di controllo “non si limitano a verificare il rispetto delle regole; valutano strategie e gestione degli intermediari; senza sostituirsi alle scelte imprenditoriali, verifica che governance, organizzazione, processi operativi e sistemi di controllo siano coerenti con i rischi”.
“È una crisi di competitività”, afferma sintetizzando così la serie di fattori negativi che complessivamente l’hanno generata e concorrono a nutrirla.
Il Governo ha annunciato provvedimenti che si ispirano a principi corretti e vanno nella direzione giusta, dice Draghi; purché - e qui sta il difficile - siano seguite le vie del rigore, dell’equità, della solidarietà e, soprattutto, della trasparenza. Sono le stesse vie percorse dal nostro paese in altre occasioni dimostrando di saper risorgere. E lui ce lo ricorda con due esempi al termine della sua relazione:
La più grande sfida sul piano delle riforme strutturali fu affrontata quando l’Italia appena unita entrò nel consesso europeo con il 75 per cento di analfabeti, contro il 30 del Regno Unito e il 10 della Svezia. Governanti, amministratori, maestri, Nord e Sud, combatterono insieme la battaglia dell’alfabetizzazione. Alla fine ci portammo ai livelli europei. Fu questo uno dei fattori alla base del miracolo economico dell’ultimo dopoguerra.
«Nel 1992 affrontammo una crisi di bilancio ben più seria di quella che hanno oggi davanti alcuni paesi europei. Il Governo dell’epoca presentò un piano di rientro che, condiviso dal Paese, fu creduto dai mercati, senza alcun aiuto da istituzioni internazionali o da altri paesi. Fu una lotta lunga: in regime di cambi flessibili, dopo tre anni gli spread superavano ancora i 650 punti base; ma fu vinta, perché i governi che seguirono mantennero la disciplina di bilancio: la stabilità era entrata nella cultura del Paese.
Anche la sfida di oggi, coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita, si combatte facendo appello agli stessi valori che ci hanno permesso insieme di vincere le sfide del passato: capacità di fare, equità; desiderio di sapere, solidarietà. Consapevoli delle debolezze da superare, delle forze, ragguardevoli, che abbiamo, affrontiamola».

 

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