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Pubblicato su politicadomani Num 103/104 - Giugno/Luglio 2010
La lunghissima gestazione della Costituzione italiana
Federalismo fiscale,
una riforma lunga sette anni
Con l’etichetta di “federalismo fiscale”, va avanti l’attuazione dell’articolo 119 della nostra Carta fondamentale. a piccoli passi - bilancio dello Stato permettendo -, con il decentramento delle competenze, delle risorse e dell’imposizione fiscale
È entrata in vigore il 21 maggio di un anno fa la Legge n. 42 del 5 maggio 2009, cosiddetta del “federalismo fiscale”. Per diventare operativa, però, avverte il Governo, occorre definire i decreti attuativi (affidati ad una commissione paritetica) che dovrà definirne i contenuti entro due anni. Seguiranno poi altri cinque anni di “regime transitorio” durante i quali ci saranno ulteriori modifiche, aggiustamenti, revisioni. Insomma, se tutto va bene, il “federalismo fiscale” sarà completato e definitivo non prima del 2016.
Due i principi alla base di questa Legge, che altro non fa che dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione italiana: “il coordinamento dei centri di spesa con i centri di prelievo, che comporterà automaticamente - dice il governo - maggiore responsabilità da parte degli enti nel gestire le risorse” e “la sostituzione della spesa storica, basata sulla continuità dei livelli di spesa raggiunti l'anno precedente, con la spesa standard”. Spariscono in questo modo dal bilancio dello Stato gli stanziamenti di spesa, costi del personale e di gestione dei centri compresi. Dovranno farsene carico i singoli enti [che diventeranno così vere e proprie imprese di servizi].
La legge va inquadrata nel contesto delle norme relative al riordino degli enti locali (“Individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati"), un provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 novembre 2009, in via definitiva.
Il provvedimento, spiega il governo, contiene:
- l’individuazione delle funzioni amministrative fondamentali che spettano a comuni, province e città metropolitane
- l’obbligo dell’esercizio di alcune funzioni fondamentali in forma associata per i comuni sotto i 3.000 abitanti
- la razionalizzazione dell’amministrazione provinciale e periferica dello Stato
- l’eliminazione di enti e organismi, quali: difensore civico; comunità montane; circoscrizioni di decentramento comunale, salvo che nei comuni con più di 250.000 abitanti; consorzi di enti locali, compresi i Bacini imbriferi montani (BIM); consorzi di bonifica
- la riduzione del numero di consiglieri e assessori locali, nomina del direttore generale solo nei comuni più grandi che sono capoluogo di città metropolitana
- la semplificazione dei documenti finanziari e contabili nei piccoli comuni
- l’adeguamento delle regole del patto di stabilità
- il potenziamento dei controlli di tipo amministrativo, finanziario e contabile.
Nel rispetto dell’Art. 119 della Costituzione, il Governo prevede che “a favore delle regioni con minore capacità fiscale interverrà un fondo perequativo”, da cui verranno risorse che le regioni potranno spendere come riterranno più opportuno.
Ci sarà tuttavia un sistema punitivo e uno premiante. Quest’ultimo “nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello di pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti”, quelli a parità di livello di governo e a parità di servizi offerti, precisa la legge.
Per quegli enti che, invece non sono “virtuosi” il sistema punitivo è pesante:
“È previsto un sistema sanzionatorio che consiste nel divieto di fare assunzioni e di procedere a spese per attività discrezionali. Contestualmente, questi enti devono risanare il proprio bilancio anche attraverso l’alienazione di parte del patrimonio mobiliare ed immobiliare nonché l’attivazione nella misura massima dell’autonomia impositiva. Sono previsti anche meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario”.
Ora, delle misure minacciate, quelle che più pesano sulla collettività sono l’alienazione del patrimonio immobiliare e la possibilità di innalzare le tasse fino al massimo. La prima misura, che si accompagna al già approvato “federalismo demaniale” sul quale pesano, tuttavia, difficoltà di attuazione e gravi sospetti di inopportunità, potrebbe risolversi in un regalo alle mafie, alle camorre e agli speculatori di ogni ordine e tipo. La seconda smentisce palesemente quanto da anni si va sostenendo ai piani “alti” della politica, attingendo pesantemente per le spese e i servizi essenziali (sanità, scuola e trasporti, per esempio) dalle tasche degli italiani.
Il testo di legge prevede che “Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria diventino città metropolitane”, e che, “contestualmente, la provincia di riferimento cessi di esistere e siano soppressi tutti i relativi organi a decorrere dall'insediamento della città metropolitana”.
Una disposizione, molto difficile da mettere in atto. Come dimostra ciò che è ultimamente avvenuto con l’ultima manovra finanziaria correttiva di 24 miliardi di euro del Ministro Tremonti dove sembra è sparita, nell’ambito dei risparmi sul costo della politica, la soppressione delle (poche) province sotto i 220mila abitanti. “Non si può fare senza una legge costituzionale”, è la motivazione (corretta) di questo dietro front.
La scure sui buoni propositi cala alla fine, quando, inevitabilmente, il Governo afferma che “l’attuazione del federalismo fiscale deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita”.
Nota
Le citazioni sono prese dal sito del governo, www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/federalismo_fiscale
 
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