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Pubblicato su politicadomani Num 103/104 - Giugno/Luglio 2010
Mondiali di calcio
South Africa 2010, una visione disincantata
Nel prepararci alla sbornia mediatico-calcistica dei prossimi giorni, alcune verità scomode sul dorato mondo del calcio
di Gino Ferretta
L’11 giugno è il D-day. Si accendono i riflettori, si comincia con il fenomeno mediatico pallonaro che durerà sino alla finalissima dell’11 luglio. Per ore ed ore, per giorni e giorni incollati alla poltrona, pomeriggio e sera, davanti alla tv e persino pagando l’abbonamento alla pay per view, secondo la legge di un prestabilito calendario. Un intero mese da dedicare a “South Africa 2010”. Fischio d’inizio per i Mondiali di Calcio che si disputeranno in Sudafrica. Si tratta della prima volta in assoluto che il calcio approda in grande stile, europeo e sudamericano, nel “Continente nero”.
Quello che però viene oscurato è che il football africano è debole, docile, vergine, con troppi lati ancora misteriosi ai più. Tra i principali problemi che attanagliano il continente c’è quello della povertà diffusa, radicata, atavica. Appena quindici anni fa si diceva ben altro... “Il calcio africano sarà il futuro nel 2000”, affermavano i vertici della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Sulla scelta del Sud Africa come teatro dei mondiali di calcio ci fu un coro unanime di consensi fra gli addetti ai lavori del mondo pallonaro. Molto pochi i dissensi.
In Italia, poi, l’entusiasmo che genera il calcio è usato come strategia di potere per distogliere l’attenzione del paese da altri problemi e soprattutto dai rischi. Non ultimo quello che viene dal “gruppo terroristico di Al-Qaeda” nel Maghreb islamico che avverte: “Colpiremo gli Azzurri”. Il messaggio, contenuto in un articolo online ripreso dall’Agenzia “Adnkronos/Aki”, è stato diffuso da Algeri il 9 aprile scorso. Nel mirino anche Usa, Inghilterra, Francia, Germania che “partecipano alla crociata contro l’Islam”. Nessun allarmismo però, alle minacce che anticipano tali eventi siamo abituati.
Quasi sempre, ma mai come per i Mondiali 2010, il calcio si fa promotore di interessi sociali collettivi. Il rapporto fra il calcio e l’Africa è fatto infatti di nuovi equilibri e si sostiene su elementi strategici che appartengono sia alla sfera politica sia a quella economica. La decisione di ospitare i Mondiali di calcio per la prima volta in un paese africano è giunta dopo che la Fifa aveva deciso che dal 2010 in poi i Mondiali sarebbero stati assegnati a rotazione ai vari continenti. È toccato a loro, gli africani, aprire il turno: delle quattro nazioni rimaste negli ultimi tre anni a contendersi la candidatura - Marocco, Tunisia, Egitto, Sudafrica - la scelta finale è ricaduta proprio sul Sudafrica. L’impegno è di grande rilevanza e la Federazione sudafricana e le componenti governative responsabili per lo sport hanno dimostrato di avere capacità organizzative e strutture adeguate. I progetti presentati sono risultati chiari, ben esposti e sostenuti da investimenti credibili: si tratta di dieci stadi, di cui cinque appena costruiti, con le adeguate capienze e strutture all’avanguardia.
Adebayor, Drogba, Eto’o e Muntari... per migliaia di ragazzi africani rappresentano il sogno del successo nel pallone. Loro, i grandi campioni, ce l’hanno fatta, ma ogni anno in Africa, sono in troppi a cercare fortuna in Europa. Circolano somme da capogiro nel mercato d’affari che ruota nel mondo del calcio. Per la maggior parte di questi giovani talenti del calcio africano però, le luci dei riflettori dei grandi stadi rimangono solo una chimera.
Per loro il sogno si trasforma in incubo. Il mondo calcistico per i giovanissimi atleti di colore è molto lontano dagli ideali sportivi di fratellanza e di pace veicolati nei discorsi istituzionali. Si tratta, invece, di una nuova forma di schiavitù, moderna e legalizzata. Persone solitamente operanti nel Nord Europa si recano nei paesi africani per scoprire nuovi talenti e procurare loro visti di breve durata per effettuare dei provini all’estero. Se l’esito è negativo, il giovane è abbandonato al suo destino e si ritrova nell’illegalità. Se è positivo può sperare nel salto, nel calcio che conta. Sono troppi e senza alcun controllo i procuratori che transitano nel Continente a caccia di talenti utili per rafforzare le squadre Primavera europee. Giovanissimi strappati dalle loro terre, dal loro habitat naturale per pochi soldi.
A volte lo sport è utilizzato perfino come pretesto per convincere le famiglie degli aspiranti calciatori a sborsare migliaia di euro per l’ottenimento dei permessi necessari all’emigrazione. Per la maggior parte, gli aspiranti campioni che emigrano sono minorenni, senza contratto di lavoro e con visti turistici di tre o sei mesi al massimo. Durante questo periodo fanno diversi provini. Il problema si pone quando scade il visto e il calciatore non è riuscito a trovare un Club, oppure quando non gli viene rinnovato il contratto. Ritornare in patria o restare in Europa?
Il ritorno in Africa è vissuto come una vergogna. Famiglia e amici in Africa pensano che sia facile firmare un contratto europeo; se ciò non accade, ritengono che la colpa sia del giocatore. Questi ragazzi tendono quindi spesso a sparire nel nulla, a diventare clandestini.
I calciatori africani rappresentano il 20% degli stranieri presenti nell’insieme delle leghe professionistiche europee. La percentuale di giocatori che riesce ad avere fama, successo e ricchezza è molto bassa.
Secondo le statistiche, il 60% dei calciatori africani che giungono in Europa e che riescono ad avere un contratto dopo qualche stagione sono esclusi dal calcio professionistico o hanno avuto traiettorie discendenti. La Confederazione e le ispezioni del lavoro avrebbero i mezzi per intervenire, ma lo fanno di rado perché nel mondo del calcio le priorità sono ben altre.
L’emigrazione dei talenti è il risultato di molte componenti negative proprie del calcio africano. Le più titolate società europee, in particolare inglesi, olandesi e belga, forti del loro potere economico, vengono in Africa in cerca di promesse in erba da esportare. Pochi, però, avranno successo e sono in molti quelli che, delusi dopo essere stati sfruttati, rimpiangono l’antica libertà di correre felici dietro un improvvisato pallone di stoffa. Proprio come avveniva agli albori di questo sport che è il più amato e seguito da noi italiani.
Approfondimenti
Approfondimenti sul mondo del calcio in Africa in “Il lato oscuro del dorato mondo del calcio”, intervista di Daniele Mariani a Raffaele Poli, ricercatore presso il Centro Internazionale di Studi dello Sport di Neuchâtel, su www.swissinfo.ch.
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