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Pubblicato su Politica Domani Num 11 - Febbraio 2002
Religioni
ATEISMO E TOLLERANZA
La dimensione pagana e laica della tolleranza
Alberto Foresi Fra le conseguenze degli attentati
dell'11 settembre, una, certamente imprevista, sembra degna di nota:
il riaffacciarsi nell'opinione pubblica di tematiche connesse al dialogo
tra le varie religioni e, parallelamente, l'affermazione di principi
volti al reciproco rispetto ed a una sempre maggiore comprensione reciproca.
Dopo un periodo di sostanziale disinteresse verso quanto accadeva nel
vicino Oriente, che sembrava una questione limitata al conflitto ebraico-palestinese,
improvvisamente i drammatici eventi di cui siamo stati testimoni hanno
bruscamente riaffermato una realtà che, anche se a noi prossima,
sembrava quanto mai distante dalla nostra quotidianità. E così
si è nuovamente sentito parlare di necessità di dialogo,
di comprensione e di tolleranza, con l'implicita affermazione che la
tolleranza sia indice della superiorità di una cultura e, in
fondo, che la tolleranza è una prerogativa della civiltà europea.
In realtà, come possono conciliarsi
dialogo e tolleranza con una religione monoteista quale Cristianesimo,
Ebraismo e Islam? La tolleranza è possibile in una dimensione
pagana o laica. Il paganesimo greco e romano, riconoscendo una pluralità
di divinità, non aveva problemi nell'introdurre nuovi dei nel
pantheon tradizionale, preoccupandosi al limite di stabilire nuove gerarchie
al suo interno e badando che i nuovi culti non portassero credenze potenzialmente
pericolose per gli assetti istituzionali. Il laicismo occidentale, erede
dell'Illuminismo, considerando in sostanza quali ataviche superstizioni
le diverse religioni, non ha difficoltà a riconoscere loro pari
dignità, ponendo quale unica condizione che esse non sostengano
teorie o pratiche inconcepibili per la moderna mentalità europea,
come se fosse nostro compito giudicare usanze che spesso fanno parte,
generalmente accettate, della cultura tradizionale di un popolo. A questa
schiera si deve aggiungere, in una posizione che, in quanto radicalmente
opposta, sembra cadere nei medesimi fraintendimenti, la schiera di coloro
che sostengono indefessamente il rispetto delle usanze religiose estranee
alla tradizione religiosa europea, salvo poi bollare come residuo medievale
ogni manifestazione di religiosità cristiana. In realtà,
il problema primario che si pone è se per un credente monoteista
sia possibile una visione pluralistica della divinità. Ogni religione
monoteista non ammette per definizione l'esistenza di altri dei perché
ciò ovviamente negherebbe la veridicità della religione
professata.
E il problema non cambia se le altre
religioni sono monoteiste: anzi, la possibile parziale somiglianza può
essere ulteriore causa di incomprensione: il dio cristiano, un dio che
si manifesta alle genti facendosi uomo, è profondamente diverso
dal dio ebraico o dal dio musulmano; e anche tra questi ultimi, nonostante
alcuni indiscutibili tratti comuni, vi sono rilevanti differenze, se
non altro per il diverso rapporto tra dio e fedeli, legati ad un gruppo
etnico nell'Ebraismo, uomini di qualsiasi popolo i Musulmani. In sostanza,
la visione di una sorta di unità e compresenza delle diverse
fedi religiose sembra essere inconciliabile con il concetto di monoteismo,
che implica la reciproca esclusione delle diverse divinità. In
questa prospettiva quale tolleranza può esservi? La tolleranza
che, conformemente all'etimo, consente di tollerare persone che comunque
sono in errore in quanto seguaci di un falso dio. Ciò emerge
anche analizzando i successivi passaggi che hanno portato il Cristianesimo
ad affermarsi in Europa: nel 313, promulgando il cosiddetto editto di
Milano, gli imperatori romani Costantino e Licinio concedevano la libertà
di culto ai Cristiani, affermando che "fosse un ottimo e ragionevolissimo
sistema di non negare ad alcuno dei nostri sudditi, sia esso cristiano
o di altro culto, la libertà di praticare la religione che vuole:
così la divinità suprema, che ciascuno di noi liberamente
adora, ci vorrà accordare il suo favore e la consueta sua benevolenza
".
Ben diverso da questa posizione, ancora legata, in fondo, alla concezione
religiosa romana, appare, solo pochi anni dopo (380), l'editto nel quale
l'imperatore Teodosio affermava che la fede ricevuta dalla Chiesa romana
da S. Pietro era l'unica religione riconosciuta, emanando, a corollario
di ciò, una serie di provvedimenti atti a reprimere i culti non
cristiani e alla persecuzione dei politeisti, persecuzione che culminò,
nel 529, regnante Giustiniano, nella definitiva chiusura dell'Accademia
di Atene, ultima roccaforte dell'ormai morente neoplatonismo. In realtà,
nell'ecumene cristiana l'idea di rispetto e comprensione tra le diverse
fedi si è progressivamente radicata, ma ciò, più
che al retaggio filosofico e culturale greco-latino che ha costituito
l'ossatura dottrinale della Chiesa romana sin dalle sue origini, sembra
dovuto al sostanziale disinteresse verso la fede stessa, all'aver trasformato
una religione in un complesso di norme morali sganciate dall'origine
medesima di tali norme, ovvero Dio. L'odierna tolleranza occidentale
appare sempre più il prodotto finale di un sotterraneo ma ben
radicato ateismo, l'unica risposta di una civiltà spiritualmente
esausta ad una religione in continua espansione, anche fra gli stessi
Europei, quale l'Islam. ![](../../Immagini/Home.gif) ![Homepage](../../Immagini/Hom.gif) |
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