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Pubblicato su Politica Domani Num 11 - Febbraio 2002 Guerra alla fame
EFFETTI COLLATERALI A DISTANZA
Rapporto dal Mali
Pier Luigi Starace Quando ho visto alla TV i missili
USA accanirsi su catapecchie di sabbia impastata come in Mali, e seppellirvi
sotto bimbi affamati, mi è sembrato di vedere la stessa sabbia,
che copre con uno strato sottile i corpi infantili nel cimitero senza
muri, senza recinzioni di Gao, senza problemi di aree, loculi o sarcofaghi,
perché dilatabile a tutto il deserto: lì, almeno, non
si paga per riposare in pace. Non riuscivo a credere ai miei occhi:
colpire, dunque punire, con l'intervento armato, gli esseri già
più puniti del globo, grazie al non-intervento umanitario. Sentendo
che un villaggio afgano più o meno come quello che noi assistiamo
in Mali con qualche milioncino all'anno, era stato gratificato di ben
quattro Cruise, e che ogni Cruise costa miliardi, non ho potuto non
pensare che con quei soldi decine di villaggi afgani e maliani sarebbero
stati equipaggiati sotto tutti gli aspetti per un'intera generazione.
Nell'investimento finanziario per
quegli ordigni creati solo per la distruzione e la strage erano già
previsti due effetti collaterali: quelli diretti, a carico dei bimbi
afgani, e quelli indiretti, a carico di quelli Tamasceq (o curdi, ceceni,
mauritani, nigerini e tantissimi altri) quando una certa quota delle
spese per produrli ed usarli è stata prelevata da fondi che potevano
e dovevano raggiungere dei nostri fratelli abbandonati. Sotto forma
d'aiuti d'urgenza per via aerea - gli aeroplani servono anche a questo
- di sementi, macchine per perforare pozzi, di medicinali, di qualche
attrezzo agricolo, condizioni inderogabili per l'esistenza.
L'esistenza: nelle cronache di questa guerra le vittime non euroamericane
non sono né numeri né nomi: sono zero, a qualunque parte
appartengano, come le vittime della fame, delle quali da quattro mesi
non si parla più. Ho sentito di combattimenti accaniti, senza
mai un accenno neppure all'ordine di grandezza della cifra dei caduti,
se decine, centinaia, migliaia, senza distinzione neppure fra i caduti
della parte dei taliban e di quella dell'Alleanza del Nord.
Citare dei nomi di vittime della guerra "fredda" dei "non-interventisti
economici", degli "slittatori", degli "aggiustatori",
è un mio atto di ribellione a questa mentalità anticristiana.
Sono stato anticipato su questo da Gino Strada, che sotto i bombardamenti
sta operando a tempo pieno a Kabul per salvare qualche vita senza valore
per quello che Gesù avrebbe chiamato "il mondo": per
la prima volta, ha fatto sapere il nome e l'ora della morte di un bambino
afgano da lui operato invano, dopo essere stato squarciato da un ordigno
che avrebbe dovuto "liberarlo".
Gino Strada, Emergency, Alberto Cairo, la Croce Rossa: appigli, punti
luminosi, segnali di esistenza in vita del cuore del mondo, che non è a Wall Street, ma nella forza spirituale con cui, pur quando
l'uragano della furia distruttrice sembra dilagare in ogni spazio, e
l'ininterruzione dei bombardamenti sembra il comandamento indeclinabile
d'un dio nemico della vita, un uomo continua a conservare la fedeltà
operosa alle parole del Cristo prima della passione: "Non vi è
un amore più grande di quello di colui che dà la vita
per i suoi amici".
La sopravvivenza di ciò ha alimentato decisivamente, anche dopo
lo stillicidio di scomparse, la mia volontà di continuare in
quella guerra alla fame, iniziata oramai 20 anni or sono, che mi sembra
ogni giorno di più non solo giusta, santa, o tutto quello che
volete, ma PRIORITARIA. Se non avrà questo posto nelle agende
di TUTTI gli stati e di tutte le organizzazioni internazionali, se non
assorbirà risorse finanziarie, tecnologiche ed umane pari a quelle
investite a scopi militari, ci sono tutte le condizioni per la mondializzazione,
che nessuno di quelli che contano sembra temere sul serio, della guerra
in corso.  
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