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Pubblicato su Politica Domani Num 11 - Febbraio 2002 Televisione
VERO O FALSO
Spunti di riflessione sulla real tv Augusto Pallocca Gli anni Ottanta hanno partorito
una televisione tutta paillettes e luci colorate; un universo perfetto
ed ideale attraverso il quale lo spettatore potesse gratificare le sue
vocazioni e i suoi desideri inespressi. Gli anni Novanta hanno invece
visto il successo e la conseguente inflazione del genere della fiction,
del telefilm dalla sceneggiatura verosimile ma comunque ricca di episodi
fuori dal comune, congeniati appositamente al fine di far immergere
l'ascoltatore in una realtà possibile ma immaginaria, ricca talvolta
di spunti morali e di modelli di comportamento ideali.
Sono passati ormai oltre due anni dall'inizio del terzo millennio, ed è fuor di dubbio che queste due passate stagioni televisive hanno
visto la prepotente e dirompente affermazione di quella che viene definita
comunemente real tv. Termine dai risvolti quanto mai problematici, real
tv è diventato sinonimo ormai di successo, di audience alle stelle,
di alto gradimento da parte di ogni fascia di pubblico. E' un genere
televisivo talmente potente da diventare addirittura fenomeno culturale
e di costume quando prende il nome, ad esempio, di Survivor, o di Grande
Fratello.
Il programma principe del palinsesto autunnale di Canale 5 è
proprio ciò che occorre per chiarire a dovere il concetto di
real tv: il suo obiettivo è di riuscire a ricreare in un molto
ben costruito vacuum televisivo delle situazioni comuni, di vita quotidiana,
di routine, e in più di rendere pubbliche, spettacolari e, per
così dire, commerciabili le relazioni interpersonali dell' "uomo
qualunque", che si trova dunque catapultato sull'onda di una inaspettata
popolarità che gli deriva semplicemente dal suo essere (o meglio
interpretare!?) se stesso di fronte ad una telecamera. Sono due i punti
nodali di questo tema che in questa sede vale la pena di approfondire.
Il primo riguarda la definizione stessa di real tv, definizione che
potremmo tradurre in italiano grosso modo come "Televisione Vera".
Il fatto che si parli di una "televisione vera" (in contrapposizione
ad una "tv finta"?) evidenzia come sia aumentata la percezione
sia da parte delle emittenti che da parte dell'audience di un certo
tipo di finzione comunicativa intrinseca al mezzo stesso e ad alcuni
suoi utilizzi. Tale finzione favorisce in un certo senso una perdita
di credibilità nei confronti del medium in questione, e dunque
uno scollamento tra mittente del messaggio e suo destinatario. In pratica
l'efficacia del messaggio è minata alla base da un diffuso pregiudizio
secondo cui la televisione, quando non racconta circostanze palesemente
artificiali, diffonde comunque informazioni sentite dall'ascoltatore
come distanti dalla sua vita di tutti i giorni. Ecco dunque il bisogno
di vedere rappresentati sul piccolo schermo in maniera iperrealistica
contesti di cui giornalmente abbiamo esperienza, oppure circostanze
inusitate, che però mettono a nudo alcuni particolari aspetti
del privato del Signor Rossi o della Signora Bianchi della situazione.
Il secondo punto da mettere a fuoco è il fatto che questi programmi
sono spesso tacciati di nascondere, sotto una patina di realismo, dei
copioni già scritti, che prevedono un punto d'inizio, un finale
a sorpresa ed una trama con tanto di attori protagonisti, gregari più
o meno importanti e colpi di scena annessi. Un'accusa che sembrerebbe
fondata vista la paradossalità ai limiti del grottesco di alcune
teatralissime situazioni che prendono vita all'interno di alcuni real-programmi,
ma del resto da me poco condivisa, constatando nelle azioni e reazioni
dei protagonisti di tali pantomime un talento drammatico, mi si permetta
l'insolente ironia, ai livelli del migliore Vittorio Gassman. Credo
però che, scetticismi a parte, questa riflessione sulla possibile
finzione che esiste in tali spettacoli porta ad approfondire l'importante
fatto che il real-programma è ancora più delle altre trasmissioni
al centro di una difficile negoziazione tra l'emittente e il destinatario.
L'emittente si adatta alle esigenze del suo target, che richiede una
artificiosità meno esplicita di quella, ad esempio, di un telefilm
o di un varietà. Lo spettatore, dal canto suo, deve sopportare
quella spettacolarizzazione inevitabile nella televisione che va a detrimento
del grado di realismo della trasmissione stessa; del resto molte volte
tale accettazione è spontanea ed inconsapevole, quando la fattura
dell'inganno mediatico è talmente raffinata da far passare in
secondo piano dei particolari poco credibili. Concetto simile alla realtà
virtuale, la real tv, in conclusione, non può dunque essere interpretata
a mio parere come ricerca di una esperienza vicaria alla vita vissuta,
bensì come sua drammatizzazione, atto catartico simile alla tragedia,
possibile liberazione da paure, tabù, pregiudizi.
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