|
Pubblicato su Politica Domani Num 14 - Maggio 2002 Elezioni in Francia
LA SCELTA: CHIRAC - LE PEN
Dove è finita la sinistra? Maria Mezzina Jacques Chirac ha vinto le elezioni presidenziali
francesi, con il più alto numero di consensi mai registrato nella
storia dei cugini d'oltr'Alpe.
Il detto "mi sono tappato il naso e ho votato ..." di montanelliana
memoria è diventato comune anche fra quella fetta, consistente,
di oppositori di Chirac, la sinistra francese, che giocoforza ha votato
per un candidato che ha sempre combattuto e che non stima.
Colpa di quella maledetta giornata, quando il sole, invece di dare una
mano a Lionel Jospin, ha deciso di andarsene a zonzo. Così una
giornata che sarebbe stato meglio che fosse stata uggiosa, è
diventata una splendida domenica di inizio estate, che tutto invitava
a fare fuorché rimanere in città e dare un voto a chi
certamente - dicevano i sondaggi - sarebbe passato; tanto la vera battaglia
si sarebbe giocata al secondo turno, sempre secondo i sondaggi. Ma anche
i sondaggi sbagliano, e quell'andare in gita (anche questo di italica
memoria) è costato caro. Il caso Francia, che per una volta almeno
non potrà guardare a noi poveri meridionali d'Europa con aria
di sospettosa sufficienza, deve far riflettere su più di un paio
di cosette.
Innanzi tutto la dispersione dei voti a sinistra. Dati alla mano la
sinistra è riuscita a perdere il suo candidato e, in prospettiva
probabilmente anche la Presidenza, dividendosi in tanti rivoli. Al punto
che gli oltre 11,34 milioni di voti dispersi fra i candidati di sinistra
non sono bastati contro una destra che si presentava alle elezioni con
un chiacchieratissimo Chirac ed un improponibile Le Pen, con i quali
ha raggiunto solo i 10,36 milioni di voti.
Il sistema maggioritario, sia pure a doppio turno, lungi dal garantire
stabilità, è capace di errori ed orrori quali quelli a
cui assistiamo da tempo: moltiplicazione di partiti e partitini, liste
e listarelle nelle quali trova spazio chiunque abbia quattro amici e
quattro soldi ed elezione di chi, tutto sommato, avendo ricevuto minori
consensi, dovrebbe avere perso.
Altro punto di riflessione è l'instaurazione di un insopportabile
clima di permanente campagna elettorale con conseguente demonizzazione
dell'altro che, sempre e comunque, è visto come l'avversario
da umiliare e da abbattere.
I sondaggi poi, questi tromboni del sapere pseudoscientifico, alla stregua
di stregoni woodoo sono in grado di muovere milioni di consensi (ma
ne basterebbe anche solo uno per fare la differenza) con l'arma insidiosa
della persuasione occulta. Questi tarli corrosivi della democrazia,
nel momento stesso in cui comunicano i dati, indirizzano e modificano
vasta parte della già ondeggiante opinione pubblica.
Infine i programmi elettorali. La semplificazione imperante del pensare
politico si risolve in due fatti principali, entrambi deleteri per la
democrazia: la ricerca di un leader, di un "toccasana", dell'uomo
della salvezza e la radicalizzazione delle differenze. I programmi elettorali
di questo o di quello sono desolatamente simili, al punto che l'elettore,
non riuscendo a vedere sostanziali differenze, si orienta sulla base
di istintive, spesso del tutto irrazionali, simpatie personali. Ciononostante
questi aspiranti leader, quasi fossero tanti profeti ispirati da qualche
potenza superiore, fomentano posizioni inconciliabili e radicali che
diventano terreno di scontri violenti. Posizioni che poi andranno mantenute.
Costi quel che costi.
La democrazia per essere vera deve essere profondamente partecipata
e convinta. Esiste ancora gente che "ci crede", grazie al
cielo, e che ricomincia a partecipare alla vita collettiva scendendo
nelle piazze; gente che sta imparando ad uscire dal chiuso delle esperienze
di solidarietà e impegno sociale. Ed è un peccato che
questa gente debba alzare barricate a difesa di principi per i quali
si è sofferto e combattuto per tutto il secolo scorso, magari
votando Chirac.
E meno male che siamo in Europa.
| |
|