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Pubblicato su Politica Domani Num 14 - Maggio 2002 Editoriale
LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
Vittime della guerra contro il "male" Maria Mezzina Forse ci saranno risparmiati altri
orrori; se non altro, perché non sarà possibile documentarli.
Potremo soltanto immaginarli dai racconti di chi ha perduto tutto o
vederli riflessi nello sguardo di chi ne è stato testimone e
non riesce più a parlare, vecchi ormai muti, bambini terrorizzati,
donne rassegnate a un dolore senza fine.
La Commissione di inchiesta ONU che
avrebbe dovuto indagare sulle operazioni militari condotte nel campo
profughi di Jenin non potrà farlo: le limitazioni imposte da
Sharon e il suo governo sono tali e tante che l'operato di una tale
commissione non avrebbe avuto più alcun senso. Che cosa si vuole
nascondere? La verità e con essa, probabilmente, un profondo
senso di malessere e di vergogna.
Israele accusa Arafat di avere fomentato e protetto il terrorismo, e
di avere giocato con la carta dei kamikaze una deprecabile partita politica:
attirare sulla questione dei territori occupati la simpatia dell'opinione
pubblica mondiale e provocare reazioni antisemite diffuse. L'accusa è verosimilmente fondata, ma probabilmente in questo braccio
di ferro tra i due vecchi soldati da sempre nemici è proprio
Arafat - costretto a un lungo in isolamento nel suo ufficio, guardato
a vista dai tanker israeliani, destinato a soccombere, secondo i piani
di Sharon - ad uscirne vincitore.
La politica del vecchio generale, a dispetto dei sondaggi (il 70% si
dice a favore dell'intervento militare nei territori palestinesi), sta
uscendo sconfitta su tutti i fronti. Sul fronte interno crescono i movimenti
a favore della pace e del ritiro dai territori occupati, e sono sempre
più numerosi i cortei di pacifisti israeliani che manifestano
sotto le finestre di Sharon, nonostante gli insulti di coloro che per
strada assistono a queste sfilate. Nell'esercito serpeggia il malcontento:
padri di famiglia, improvvisamente richiamati alle armi, che si trovano
ad essere testimoni e protagonisti di violenze a cui non sono abituati
e che vorrebbero presto dimenticare; riservisti che si rifiutano di
obbedire agli ordini; semplici soldati che, respingendo con la tristezza
nello sguardo le pressioni di prelati e operatori della pace internazionali,
violano la consegna del silenzio per esprimere la pena che li opprime.
Sul fronte internazionale i Paesi arabi insorgono; l'ONU e l'Europa
condannano; gli USA sono imbarazzati e perplessi; nelle piazze si dà
la stura a sentimenti antisemiti e atteggiamenti di provocazione violenta
che, confinati in passato in una tifoseria da stadio criminale, hanno
trovato legittimazione "etica" e "politica" e stanno
conquistando consensi elettorali.
Le vittime delle torri gemelle, così come quelle di tutti gli
attentati terroristici, sono solo povere vittime innocenti. Ritenere,
come ha fatto Bush, che siano le vittime del "male" e che
si possa fare la guerra al "male" e sconfiggerlo a furia di
bombe e a colpi di cannone è quanto meno ingenuo; diventa poi
criminale quando si ha la possibilità di trascinare nella guerra
contro il "male" nazioni intere e perfino intere comunità
internazionali. Perché il male è sfuggente e ha tanti
volti (non solo quello di Bin Laden o di Saddam o dei kamikaze di qualunque
parte essi siano) e non sta solo da una parte. Il "male" che
questi moderni crociati del "bene" stanno colpendo ha gli
stessi volti delle piccole vittime della strage degli innocenti di Erode.
E anche i motivi profondi per i quali essi combattono sono gli stessi
di Erode: la paura di perdere il potere.
In questa assurda spirale di violenza le vittime non sono solo coloro
che muoiono; lo sono di più quelli che rimangono segnati a vita
dall'odio e dalla paura. Sono vittime le idee che muovono il progresso,
è colpita la democrazia, è ferita la verità. Non
muore però la speranza. La fiducia nella ragione e nella buona
volontà degli uomini prende forza nella unione di chi nel cuore
coltiva la speranza. E quando tutto sembra perduto rimane sempre la
preghiera.
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