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Pubblicato su Politica Domani Num 17/18 - Set/Ott 2002 Editoriale
Un calcio al pallone
Un po' di responsabilità per non farlo scoppiare
di Maria Mezzina Gli sportivi italiani, e i tifosi,
hanno infine messo in soffitta le ansie di una stagione senza calcio
e possono stare tranquilli. Il campionato è iniziato e la razione
settimanale di cronache - quanto mai rare, quelle serie - e cronachette
insulse, alla "Quelli che il calcio", è sempre lì pronta per essere consumata.
Meno tranquilli sono gli italiani che hanno a cuore il gioco più
bello del mondo e i valori positivi che questo incarna da sempre: spirito
di squadra, generosità, fatica, capacità atletiche, furbizia
e competitività. E sono preoccupati anche coloro che seguono
con occhio attento e con qualche timore la situazione economica del
nostro paese.
Che il calcio, oltre che grande gioco
e grande spettacolo, sia anche un grande business non c'è nulla
di male, anzi. Se invece il "grande affare" si trasforma in
colossale bancarotta, allora gli scenari cambiano e diventa doveroso
porsi alcune domande e pretendere risposte chiare e oneste.
Quali sono gli assetti finanziari delle società di calcio?
Perché in Italia i giocatori guadagnano tanto? Il terzo portiere
di una grande squadra di serie A guadagna 500 milioni di euro (un miliardo
di vecchie lire) netti al mese, e probabilmente farà, al più,
cinque partite in un anno.
Quale relazione c'è fra il costo di un "fuoriclasse"
straniero, il rendimento della squadra, e il beneficio economico, tutto
compreso, che deriva alla società?
Quale stabilità societaria assicurano i vertici? Si tratta di
valutare le condizioni che garantiscono la continuità del lavoro,
che significa permanenza, in primis, di allenatore e giocatori, e di
verificare l'esistenza di progetti di sviluppo a medio e lungo termine
e le eventuali risorse disponibili, il che significa soprattutto attenzione
e cura del settore giovanile, vivaio della squadra.
Le società di calcio, che
hanno ottenuto di essere considerate delle società di capitali,
anche quotate in borsa - sottraendosi così il controllo dei propri
bilanci al COVISOC (COmitato di VIgilanza e controllo delle SOcietà
di Calcio professionistiche) -, debbono saper operare di conseguenza,
cercando di costruire e mantenere una stabilità fondata su bilanci
solidi e investimenti ponderati.
Chiedere, come è stato tentato, lo "stato di crisi"
per avere finanziamenti statali sperando di ottenerli, oltre che andare
contro qualsiasi regola di corretto management, sarebbe solo una pretesa
"indecente", a prescindere dall'attuale deficit finanziario
del paese.
E inoltre, poiché nel calcio - come nei settori della scuola,
della sanità e dei servizi - gli strumenti di produzione sono
degli esseri umani, capacità e doti profondamente umane come
la lealtà, la generosità, la passione, l'attaccamento
alla squadra, diventano una plusvalenza preziosa per la società.
Senegal e Chievo insegnano.
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