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Oggi il Brasile
domani il mondo Indy "Questa è la mia gran promessa: in quattro anni tutti i Brasiliani potranno avere tre pasti al giorno". Tener fede a quest'impegno non sarà facile per Luiz Ignacio Lula da Silva. Come sostiene lui stesso, il Brasile è "uno dei paesi più ingiusti del mondo". Lampante è il divario esistente tra ricchi e poveri. In città come San Paolo o Rio si passa in pochi minuti dalle favelas di baracche ai quartieri ricchi, protetti da sorveglianza armata. Una distanza incolmabile separa i ricchissimi dai poverissimi, il concetto di classe media non è sufficiente a colmare questo spazio, a garantire una continuità tra i due mondi. Il mondo dei poveri, in Brasile, conta tra i 40 e gli 80 milioni di persone.Il Paese vive una situazione economica non certo felice. Un debito estero enorme, un servizio del debito (gli interessi che si pagano periodicamente) che dissangua l'economia. Nel 1998 il servizio del debito era 81 volte superiore alle entrate dell'export. Una bilancia commerciale perennemente in rosso. La politica di Cardoso si è dimostrata un fallimento. Per contenere l'inflazione ha provocato danni ai quali non hanno fatto seguito i benefici sperati. La stagione delle privatizzazioni ha portato in mani private, spesso straniere, quote consistenti d'aziende appartenenti anche a settori strategici. Spesso le azioni sono state scambiate con quote di debito. L'agricoltura è soffocata dal latifondo: la metà delle terre è nelle mani dell'1% dei possidenti. Il settore primario rappresenta solo l'8,6% del Pil: un paradosso per un paese così ricco di terre coltivabili. Come intende, in questa situazione, Lula garantire ad ogni brasiliano i tre pasti giornalieri? Innanzi tutto con una riforma tributaria basata sull'equità, con una riforma agraria "portata avanti - sostiene il presidente - con il consenso di lavoratori, sindacati e proprietari. Il Brasile possiede 90 milioni d'ettari di terra improduttiva: possiamo distribuirla a tutte le persone che vogliono coltivarla". Un programma di redistribuzione delle risorse in questo senso va anche la "privatizzazione delle favelas"- attento anche a tranquillizzare imprenditoria e finanza. Con la chiamata di un imprenditore, un liberale, alla vice-presidenza, ad esempio. L'imprenditoria brasiliana ha risposto pubblicando il manifesto di imprenditori per Lula. E sempre più numerose arrivano le attestazioni di fiducia anche dal mondo finanziario. Questione d'opportunità: "molte banche fallirebbero se il Paese si dichiarasse in cessazione dei pagamenti", spiega George Soros; le conseguenze andrebbero ben oltre i confini nazionali. Senza contare che le scelte del presidente uscente (benedette dal FMI) hanno portato il paese sull'orlo del baratro. Il neopresidente deve mediare. Da un lato deve mostrare ad imprese multinazionali ed investitori che il Brasile non abbandonerà il libero mercato (ha già affermato che continuerà con le privatizzazioni). Gli Stati Uniti non permetterebbero che il Paese Carioca si trasformi in una gigantesca Cuba -del resto Lula ha ben chiaro cosa accade nel vicino Venezuela di Chavez. D'altra parte, deve tener conto del primo palcoscenico che lo ha reso personaggio globale: il Forum Sociale di Porto Alegre. Per il movimento dei movimenti, la vittoria del "compagno presidente" è una vittoria del pensiero antiliberista. Perciò molti hanno preso male la sua partecipazione al World Economic Forum di Davos: un venire a patti con gli sfruttatori. Quattro anni si è dato Lula per compiere il suo semplice ed incredibile progetto. Quattro anni gli ha dato il sistema democratico. Tra quattro anni i suoi elettori gli chiederanno conto di quanto fatto. Sarà mai possibile in un periodo così breve trasformare un sistema fondato sull'ingiustizia in una società che sappia conciliare il bene della collettività con la dignità dell'individuo? Che sappia procurare le risorse per sfamare i suoi membri senza distruggere l'ambiente che ne garantisce la sopravvivenza? Tra quattro anni sapremo se l'operaio di San Paolo, l'emigrante del nord-est, sarà riuscito, nonostante tutto, a mettere in pratica quello che i rivoluzionari da salotto (incluso chi scrive) sanno definire solo in negativo: "un altro mondo possibile". Forse è chiedere troppo ma abbiamo il vizio dell'utopia. *Lula in Portoghese significa "Calamaro"
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Num 22 Febbraio 2003 | politicadomani.it
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