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Pubblicato su Politica Domani Num 23 - Marzo 2003 editoriale
Prospettive e voglia di pace di m.m.
Questa guerra non la vuole nessuno. Forse
neanche Bush, se nell'uomo è rimasto un grano di razionalità.
Ma la spirale perversa nella quale si è cacciato (o è
stato cacciato) è andata talmente avanti che occorrerebbe davvero
un grande Presidente per tornare indietro, e Bush purtroppo appare sempre
più piccolo. Dieci giorni, fino al 17 marzo, sono stati concessi
da Bush a Saddam per togliere il disturbo e consegnare il paese all'America.
C'è in giro tanta voglia di pace. Le manifestazioni del 15 febbraio,
che hanno visto scendere in piazza 110 milioni di persone di tutti i
paesi del mondo sono state una festa di gioia perché la pace
è possibile e "un mondo migliore è davvero possibile",
come dice lo slogan che unisce ormai tutti. È questa folla variopinta
di gente che dà forza a chi si oppone alla guerra e indebolisce
chi la vuole. Ci si ritrova uniti nel rispetto della vita, della natura,
del diritto dei popoli, del diritto internazionale, dei patti stipulati,
della dignità dei più deboli. È questa gente vestita
di arcobaleno, che appende la pace dai balconi e dalle finestre e che
gira in bicicletta con le bandiere al vento, che dà forza a chi
si oppone alla guerra e indebolisce chi la vuole. Si ritrova sui valori
più essenziali e su questi costruisce una forte unità che ha un importante peso politico.
Il tempo lavora contro la guerra perché passato il mese di marzo
la temperatura nel deserto sarà troppo alta per i soldati americani,
e le sofisticate apparecchiature elettroniche potrebbero saltare. Con
il passare del tempo il popolo della pace diventa sempre più
numeroso e più organizzato e potrebbe mettere in pericolo persino
alleanze solide come quella britannica: il partito di Blair già
per un terzo ha votato in Parlamento contro la guerra; deputati e sottosegretari
laburisti hanno minacciato le dimissioni; Clare Short, ministro per
lo Sviluppo Internazionale, si dimetterà se Blair affiancasse
gli USA in una guerra senza il consenso dell'ONU; la gente è
decisa a non votarlo più.
Gli ispettori dell'ONU chiedono tempo e cresce l'insofferenza contro
questa guerra voluta a tutti i costi. Francia, Germania, Russia e Cina
promettono una dura battaglia, disposti a porre il veto ad una risoluzione
ONU che non dia altro tempo agli ispettori e a chiedere sanzioni economiche
e politiche contro gli USA. Tanti altri paesi più piccoli, bisognosi
di aiuti per lo sviluppo, sono offesi per il "mercato delle vacche"
con cui gli USA cercano di comprare il loro voto perché il loro
no alla guerra costerebbe risorse in meno, meno aiuti economici e meno
possibilità di sviluppo.
Le accuse circostanziate degli USA contro l'Iraq, portate come "prove"
di fronte alle Nazioni Unite si rivelano false: la mappa della centrale
atomica, i laboratori nucleari mobili, l'acquisto di uranio dalla Nigeria.
E mentre una legittimazione di questa guerra diventa sempre meno probabile
continua l'armamento atomico di Corea del Nord ed Iran, ma Washington
è troppo occupata né potrebbe sostenere altri due fronti
di guerra.
Il Papa all'angelus ha detto che la scelta fra la pace e la guerra è scelta fra il bene e il male (domenica 9 marzo). Al Papa risponde la
gente, moltiplicando le iniziative di pace e partecipando, anche i non
credenti, al suo appello alla preghiera e al digiuno per la pace.  
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