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Spagna Maria Rodriguez-Sahuquillo È solo l’inizio, il quindici di marzo torna a ripetersi la giornata pacifista in tutto il mondo. Cinque giorni dopo cadono le bombe sopra Bagdad. Manifestazioni si ripetono in questi mesi a Madrid, Barcellona, Siviglia… almeno una alla settimana: concerti per la pace, rappresentazioni teatrali, caceroladas (proteste scandite dal battito delle casseruole ndt). Alla consegna dei premi Max di teatro, gli attori leggono un manifesto chiedendo il ritiro della Spagna dal conflitto; esigono dal presidente della comunità di Madrid, Alberto Ruiz Gallardon che si dichiari contro la guerra, Galardon rimane in silenzio: gli artisti abbandonarono la sala. Lo scandalo è servito. Rimane latente ancora una volta il rifiuto del popolo spagnolo contro la guerra. Manifestazione dopo manifestazione si scaldano gli animi, e si aggiunge gente alle proteste, prima che la guerra cominciasse si calcola che il 72% dell’opinione pubblica fosse contro la guerra, in aprile si arriva al 91%. La gestione degli avvenimenti, da parte del governo del PP arreca danni anche tra le sue stesse fila e alcuni dei suoi membri abbandonano il partito. I sondaggi d’opinione tornano a parlare contro il governo: la maggioranza della popolazione non solo si mostra contro la guerra ma, per di più, respinge il comportamento del Partito Popolare. L’opposizione monta come la schiuma. Intanto Aznar e compagnia parlano di “vandali” anziché di manifestanti e bollano le mobilitazioni per la pace come “manifestazioni politiche”. In realtà queste sono organizzate da piattaforme come Cultura contro la guerra o da sindacati come Comisiones Obreras o il Sindacato degli studenti. Manifestazioni represse con forza dalla polizia, che ha finito per causare disgrazie, svenimenti, investimenti. Tant’è che i tribunali finiscono per destinare un giorno apposito perché tutti gli interessati possano far querela all’amministrazione pubblica. La guerra prosegue, la gente è stanca, stanca che le proprie grida non servano a nulla, stanca delle bombe a grappolo e della guerra vista in televisione. Proseguono le manifestazioni, i manifesti per la pace letti in pubblico da figure emblematiche come Pedro Almodovar o Josè Saramago, si scrive moltissimo riguardo alla guerra. La Spagna resta sconvolta: il 6 aprile muore in Iraq Julio A. Parrado, inviato di “El Mundo”. Suo padre, Julio Anguita, dichiara: “Maledette siano le guerre e le canaglie che le sostengono”. Dopo due giorni l’Hotel Palestina, sede dei giornalisti, è colpito da un proiettile sparato da un carro armato statunitense. Muoiono due giornalisti, tra essi il cameraman spagnolo Josè Couso della catena televisiva Tele 5. Tutta la Spagna scende in strada per chiedere di chi sia la responsabilità, per piangere José Couso, e le altre vittime di questa cruenta guerra. Le principali città della Spagna tornano ad accogliere il grido di “no alla guerra”, questa volta misto con quello di “Assassini! Assassini!”. Il governo non dà le spiegazioni richieste e Aznar subisce in congresso la protesta dei media i quali, invece che coprire la notizia, mostrano, dando le spalle al presidente, la foto di Causo. La Spagna torna a gridare, ad alzare la voce contro questa guerra, questa e quelle che verranno. “Né un soldato, né una nave, né un euro per questa guerra”.
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Num 25 Maggio 2003 | politicadomani.it
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