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L'eredità
del Profeta Alberto Foresi Pur nella superficialità con cui viene generalmente trattato dai mass-media ogni argomento connesso al mondo islamico, la distinzione fra Sunniti e Sciiti compare spesso nelle cronache. Tuttavia, ben scarso rilievo è dato alla differenza esistente fra questi due ambiti in cui si divide la società islamica. E, si badi bene, anche questa divisione è molto approssimativa, giacché l’Islam è molto più complesso e variegato di quanto si possa pensare.In primo luogo è opportuno esaminare quali differenze vi sono tra Islam sunnita e Islam sciita. I Sunniti si definiscono ahl as-sunna wa ‘l-jama’a, “gente della tradizione e della comunità”, indicando così la propria concezione secondo la quale l’autorità religiosa non è concentrata in persone – eccezion fatta per il profeta Muhammad – ma in un Libro – il Corano – e nella sua interpretazione comunitaria attraverso l’esegesi di sapienti e giuristi. Tale definizione potrebbe essere in parte condivisa anche dagli Sciiti, in quanto anch’essi venerano le tradizioni del Profeta, ma si discostano dai loro fratelli sunniti per quanto riguarda l’interpretazione collettiva della tradizione. Il punto centrale della loro dottrina risiede infatti nella concentrazione dell’autorità religiosa proprio in persone carismatiche. Secondo gli Sciiti, alla morte del Profeta, non si interruppe il legame quasi personale fra Dio e i suoi fedeli, ma egli, alla sua morte, nominò un successore - imam-, autorevole interprete della sua parola, difensore della legge e capo materiale della comunità. Subito dopo la morte di Muhammad vi furono persone all’interno della comunità musulmana che videro in ‘Ali, il più prossimo parente maschio del Profeta in quanto cugino e genero, avendo sposato sua figlia Fatima, noto quale uno dei più antichi e pii credenti, il suo legittimo successore. La designazione di ‘Ali quale suo successore avvenne nel 632, al termine dell’ultimo pellegrinaggio di Muhammad alla Mecca. Si configura così una sorta di Sacra Famiglia musulmana, costituita dal Profeta, Fatima, ‘Ali e i loro figli Hasan e Husain. Se ‘Ali nella tradizione sciita incarna la figura del principe dei credenti per antonomasia, intorno alla quale sorsero presto leggende ricche di elementi fantastici e miracolosi, non minore importanza è attribuita al figlio Husain, morto in battaglia contro gli Omayyadi a Kerbela nel 680, città che divenne santa per gli Sciiti. Merita attenzione il modo con cui è stata vista dalla comunità sciita la morte dell’imam Husain: tale morte, nella tradizione successiva, si presenta quale un sacrificio compiuto da Husain stesso per la libertà della comunità musulmana, evento questo che non circoscrisse l’eroica vicenda di Husain all’ambito sciita ma ne fece un eroe anche per i Sunniti. Il martirio di Husain, tuttavia, segnò profondamente la comunità sciita e ne influenzò il successivo pensiero. È stato giustamente detto che “lo sciismo è una religione di sconfitti che sognano la rivincita” (A. Bausani, L’Islam, Garzanti, Milano 1980, p. 109). E questo spiega come ancor oggi la teoria della ricerca del martirio in nome di Dio – i cosiddetti Kamikaze – si sia sviluppata primariamente in ambito sciita, ad esempio tra gli Hezbollah. L’elemento che divide Sunniti e Sciiti è dunque l’idea che, alla morte del Profeta, sia continuata una catena di uomini, gli imam, designati in via ereditaria fra i discendenti di ‘Ali, i soli conoscitori del senso intimo dell’Islam, dotati dell’autorità docente obbligatoria e definitiva nell’interpretazione del Corano e della Sunna, contraddistinti dall’infallibilità e dall’impeccabilità. Ciò che appare contraddittorio è che anche gli Sciiti pongono termine alla catena degli imam. Sono infatti riconosciuti dodici imam, l’ultimo dei quali, Muhammad al Mahdi, scomparve giovanissimo nell’874 in modo misterioso, divenendo il cosiddetto imam occulto, non semplicemente presente spiritualmente sulla terra ma realmente vivo, nascosto in qualche luogo recondito e pronto a tornare, senza essere mai morto, alla fine dei tempi. Alla sparizione dell’ultimo imam, la guida della comunità sciita passò ai wakil – luogotenenti -, in continuo contatto con l’imam nascosto. È interessante sottolineare che, sebbene anche la Sciia ponga la guerra santa come uno dei pilastri dell’Islam al pari della preghiera e del digiuno, solo all’imam è consentito proclamarla: nell’attesa del suo ritorno la guerra santa è ammessa solo per autodifesa. È, infine, opportuno confutare due idee della Shi’a spesso diffuse. In primo luogo essa non può essere considerata propriamente un’eresia musulmana: nell’Islam il parametro che stabilisce l’ortodossia della fede è il riconoscimento dell’opera profetica di Muhammad e del fatto che egli sia stato il sigillo - l’ultimo - dei profeti, aspetti questi accettati dagli Sciiti, i quali ammettono, a differenza dei Sunniti, l’autorità di un imam vivente. In secondo luogo la religiosità sciita, in virtù del suo radicamento principalmente nell’area iranica, è stata talvolta considerata una reazione ariana persiana alla religiosità semitica sunnita, eccessivamente legalistica: tale interpretazione è da ritenere assolutamente priva di fondamento, non solo in quanto la Shi’a nasce e si sviluppa in ambito semita arabo al pari della tradizione sunnita, ma soprattutto poiché l’osservanza sciita in Persia è relativamente tarda dato che essa fu imposta alla popolazione nel XVI secolo dalla dinastia safavide di etnia turca.
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Num 26/27 Giu/Lug 2003 | politicadomani.it
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