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Pubblicato su Politica Domani Num 3 - Marzo 2001
Non è solo il futuro ad essere in dubbio
ALLE RADICI DEL DEBITO
. il passato
Chi ha superato gli 'anta' ricorderà la
crisi energetica dei primi anni '70. I commenti dell'epoca ed i libri
di storia indicano come causa del caro petrolio (tra il '73 ed il '74,
in pochi mesi, il prezzo del greggio arrivò a quadruplicarsi) lo scoppio
della guerra del Kippur o, tutt'al più, la nascita di un cartello dei
paesi esportatori (riuniti nell'O.P.E.C dal '60) e delle multinazionali
del petrolio. C'è chi ha notato che il caro petrolio mentre ha reso
competitivo il prezzo del greggio estratto negli USA, che precedentemente
aveva dei costi d'estrazione estremamente alti, ha costretto le economie
concorrenti degli Stati Uniti a pagare il greggio al nuovo prezzo con
conseguente aumento dei costi di produzione.
Tenendo conto della difficile situazione
economica statunitense (la crisi del dollaro è del '71), che subiva
la forte espansione nipponica, non è, a parer mio, del tutto galeotta
l'ipotesi che il caro petrolio sia stato, quantomeno, incentivato dall'amministrazione
U.S.A.. E' facile immaginare come, grazie a quest'operazione, cominciassero
a circolare notevoli masse di capitale che finivano con l'ammassarsi
nelle grandi banche, soprattutto inglesi e nordamericane. 'L'eccesso
di liquidità' minacciava di diventare un problema serio. Frattanto paesi
come India e Brasile, che avevano cominciato la meccanizzazione della
loro agricoltura, si trovarono a dover richiedere prestiti per acquistare
petrolio. Le grandi banche comincia-rono allora a concedere con molta
facilità prestiti a tassi relativamente bassi ai paesi in via di sviluppo:
la cosiddetta 'politica del denaro facile'.
. e il presente
Due terzi circa dei prestiti concessi
dalle banche private sono costituiti da 'prestiti a breve termine',
così che il creditore abbia maggiore controllo sul debitore, potendo
oltretutto, al rinnovo del prestito, aggiornare i tassi d'interesse
a propria discrezione. Ciò ha impedito di realizzare progetti a lunga
data: non immediatamente remunerativi. Nel 1970 i prestiti erogati da
privati si aggiravano attorno al 2% del totale, sul finire degli anni
'70 ne rappresentavano ormai il 70%. È superfluo notare come i privati
siano liberi di usare la più completa discrezionalità riguardo all'entità,
alla durata, agli interessi applicati, alle eventuali sanzioni per gli
insolventi e via discorrendo. E' uso comune poi (e questo accade soprattutto
con prestiti concessi dai governi e dal Fondo monetario) che sia lo
stesso creditore a vincolare l'uso dei fondi concessi. Esemplare è
il caso dell'aiuto (1 miliardo di dollari) concesso dagli USA al Messico
per fronteggia-re la crisi del '82, vincolato all'acquisto di grano.made
in U.S.A., naturalmente. Questi vincoli, malgrado fossero spesso giustificati
da presunti intenti umanitari, hanno costretto i paesi indebitati ad
imbarcarsi in progetti sovente inutili o inadatti alla particolare situazione.
Inoltre grazie al meccani-smo della capitalizzazione degli interessi,
consistente nel considerare gli interessi non pagati come un nuovo prestito
su cui calcolare nuovi interessi, i paesi poveri hanno visto il loro
debito aumentare esponenzialmente. Ad aggravare il quadro generale contribuisce
il fatto che per gli scambi internazionali si utiliz-za il dollaro USA.
Può così accadere, com'è accaduto per alcuni anni a partire dal '79,
che gli Stati Uniti tengano artificialmente alto il valore del dollaro,
costringendo i debitori a sempre maggiori esportazioni di materie prime
per ottenere dollari. Tanto più che nel '79 la seconda crisi energetica
fece crollare i prezzi delle materie prime. Si è calcolato che gran
parte dei debiti dei paesi in via di sviluppo è stata ampiamente ripagata
dagli interessi versati fin ora, che anzi superano di molto la cifra
iniziale. Quando le banche si rendono conto che il rischio di insolvenza
del paese debitore diventa troppo alto hanno ancora la possibilità di
realizzare un ultimo guadagno vendendo il debito con uno sconto che
può arrivare fino all'85%. L'acquirente, che spesso è un'impresa straniera,
acquisisce quote di imprese pubbliche per l'equivalente, in moneta locale,
dell'intero ammontare del debito. Quel che significhi per un paese in
difficoltà avere servizi primari, come acqua o energia elettrica, nelle
mani d'imprese private estere è presto detto: minimo servizio, massimo
profitto. F.M.I. (Fame, Miseria, Inflazione)* Chi tira le fila di tutto
questo teatrino è il Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.). Il Fondo,
creato nel '44 per favorire la ricostruzione postbellica e soprattutto
per assicurare la stabilità finanzia-ria nell'ambito di un sistema monetario
internazionale basato sul dollaro, si è rivelato in realtà assiduo promotore
di una politica liberista e globalizzata, non curante della situazione
sociale, culturale ed ambientale dei paesi cui impone i suoi diktat.
Gli 'aggiustamenti strutturali' previsti dal Fondo, dove sono stati
applicati, hanno procurato tagli alla spesa per istruzione e sanità,
non rispetto dei diritti dei lavoratori, lavoro minorile, stravolgimento
dei consumi tradizionali ed hanno portato a rivolte e colpi di stato.
È palese la contraddizione che riposa nell'essere contemporaneamente
arbitro e giocatore, perché creditore, com'è il F.M.I.. Tutti i piani
d'intervento per venire a capo della questione, proposti dai paesi creditori
e dal F.M.I., sono stati ispirati non alla liberazione dal giogo del
debito, ma al mantenimento dello status quo d'asservimento dei paesi
in via di sviluppo, tramite misure atte ad evitare, da una parte il
completo tracollo economico, dall'altra la loro piena indipendenza.
È necessaria una riforma del Fondo in senso democratico (attualmente
la capacità di voto è determinata dalle quote di capitale con le quali
il paese partecipa: USA, Giappone, Germania, Inghilterra e Francia
detengono la maggioranza assoluta). La remissione del debito deve essere
completa e senza condizioni. È ancora troppo poco: occorre rivedere
obbiettivamente, liberi da pregiudizi d'ogni sorta, il sistema economico;
prima che sia troppo tardi! Giorgio Innocenti *cfr. Castagnola 2000
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