Pubblicato su Politica Domani Num 31 - Dicembre 2003

Le guerre lungo l'oleodotto

 

Nogorno Karabakh (a 15 km dal BTC) è una regione a sud del Caucaso di circa 4.000 kmq che appartiene all'Azerbaijan. Nel 1988, con l'inizio della perestroika, l'assemblea locale della regione, a maggioranza armena, votò una risoluzione unilaterale di unificazione con l'Armenia. Seguirono conflitti e stragi. L'Azerbaijan nel 1991-92 conquistò quasi tutto il Karabak, ma nei due anni successivi l'Armenia riconquistò la regione e gran parte delle terre confinanti. I conflitti nelle regione (nella quale le etnie armena e azera avevano convissuto per centinaia di anni) portarono ad oltre 600.000 profughi e 25.000 morti. La pace nella regione è stata imposta nel 1994 dalla Russia, ma il conflitto fra le etnie rimane latente e può scoppiare in ogni momento.
Le regioni di Ardahan e Kars, in Turchia, si trovano nel cuore del tracciato dell'oleodotto BTC. In ambedue le regioni oltre il 30% della popolazione è curdo. Il Kurdistan non ha mai avuto un riconoscimento internazionale, ed è diviso fra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Le genti della regione però, 25 milioni di persone, non sono né arabe, né turche, né persiane; esse hanno una loro storia millenaria (provengono dai Medi dell'antica Persia, oltre 2500 anni fa), una loro cultura e una loro lingua. Anche i Magi venivano da lì. I Curdi aspirano a un proprio stato indipendente, e si sono organizzati politicamente. Il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ha annunciato di voler riprendere la sua attività terroristica. In passato il PKK aveva colpito il campo di ricerca della Turkish Petroleum (TPAO) nel Kurtalan, i pozzi di Selmo, l'oleodotto Kirkuk-Yumurtalik nella regione curda, a Silopi e a Mardin, i depositi della Shell, le stazioni di pompaggio e le industrie vicino Sason. Nel 2000 il PKK si è trasformato in KADEK (Congresso per la Libertà e la Democrazia nel Kurdistan), dichiarando di voler perseguire il riconoscimento dello stato indipendente del Kurdistan con mezzi pacifici, ma la sua base ha rifiutato di abbandonare le armi.
Poco distante dall'oleodotto, fra gli 80 e i 110 km, ci sono Cecenia e Dagestan. Ambedue aspirano all'indipendenza dalla Russia, ma il gigante ex-sovietico non vuole mollare. Agli interessi strategici (le regioni si stendono nella regione del Caucaso) si aggiungono quelli economici legati al passaggio degli oleodotti. Rivendicazioni indipendentiste, la presenza di sanguinose bande armate rivali, nate dallo smantellamento dell'esercito ceceno, ragioni religiose (gran parte della popolazione è di religione islamica e il fondamentalismo trova terreno fertile) sono alle radici delle continue tensioni. Una situazione esasperata dal vuoto politico e dal disordine economico, ambedue risultati di una costituzione federale, quella russa, che dà al Presidente il potere di sciogliere i Parlamenti non allineati e di controllare le attività economiche del paese.
Il corridoio di conflitti si completa con le rivendicazioni della Georgia sul Sud Ossezia (a 55 km dal tracciato del BTC), e del Nord Ossezia contro l'Ingushezia. Conflitti tutti nati dalla dissoluzione dell'impero sovietico e conseguenza della politica del divide et impera perpetrata da Stalin e dai suoi successori.
di mia

 

I costi in termini di diritti umani

Il controllo del territorio per garantire la sicurezza del BTC, rischia di avere alti costi in termini di diritti umani.
In Azerbaijan la leader del COIWRP (Committee of Oil Industry Worker's Right Protection), Mirvarie Gahramanly, è stata licenziata dalla SOCAR, ed è stata arrestata tre volte per la sua attività e le sue critiche al Governo Azero. Minacce e intimidazioni sono aumentate dopo un suo viaggio negli Stati Uniti nel quale denunciava la situazione dei lavoratori del petrolio nel suo paese.
A Nardaran, presso Baku, le proteste degli abitanti del villaggio per le dure condizioni di vita e i disordini e gli scontri sono state tenute nascoste dai media. In Azerbaijan e in Georgia la popolazione chiede che una parte, almeno, del petrolio dell'oleodotto serva al fabbisogno energetico di quelle regioni poverissime.
In Turchia, candidata ad entrare in Europa, ma lasciata in attesa a causa delle violazioni dei diritti umani (la legislazione è stata recentemente cambiata, ma le cattive abitudini sono difficili a morire), una commissione di inchiesta europea deve verificare eventuali repressioni collegate alla costruzione dell'oleodotto. Il DEHAP, partito non-violento pro-Curdi, minacciato di chiusura, è soggetto a intimidazioni per la sua campagna di informazione sulla repressione delle proteste delle popolazioni locali contro la costruzione dell'oleodotto.

 

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