World Water Development Report
Pane e acqua
Dai dati del rapporto emerge la necessità di razionalizzare
le risorse idriche se non si vuole condannare il mondo alla fame, oltre che alla sete
Il Terzo Forum Mondiale dell'Acqua che si è svolto a Kyoto (Giappone, 16-23 Marzo 2003) ha visto la FAO particolarmente impegnata sul tema dell'utilizzo dell'acqua in agricoltura. L'argomento è stato ripreso anche nel capitolo otto del World Water Development Report del 2003, dove si parla chiaramente del rapporto esistente tra la disponibilità di acqua per l'agricoltura e la disponibilità di cibo.
L'importanza dell'utilizzo dell'acqua in agricoltura risulta evidente da questi dati: circa il 70 % dell'acqua prelevata nel mondo viene utilizzata per l'irrigazione; la percentuale sale poi al 93% se si considera l'acqua consumata: infatti, a differenza dell'utilizzo civile o industriale, in agricoltura la maggior parte dell'acqua utilizzata si consuma in evaporazione e traspirazione delle piante.
Le terre irrigate impiegate in agricoltura - che sono solo il 17% del totale - forniscono il 40% del totale dei raccolti; quindi, ancora oggi, il 60% dei raccolti proviene da un'agricoltura basata esclusivamente sulle precipitazioni.
Per questo motivo una delle maggiori priorità nel prossimo futuro è aumentare l'efficienza dell'irrigazione. In particolare, l'obiettivo della FAO per il 2030 è di incrementare l'efficienza dell'irrigazione del 42% nei paesi in via di sviluppo, in modo tale che si possa irrigare una superficie netta maggiore di un terzo rispetto all'attuale, con solo il 14% in più di acqua.
È quanto mai urgente che un tale obiettivo possa essere raggiunto. C'è infatti uno stretto, benché complesso legame tra la povertà e la carenza di irrigazione: in India, per esempio, nelle zone non irrigate il 69% della popolazione è povera, contro il 26% nelle zone irrigate.
Il risultato che si prefigge di raggiungere la FAO diviene possibile solo se si attuano delle politiche volte ad incentivare un consumo responsabile e razionale delle acque.
Attualmente, e ormai da tempo, si registra invece, purtroppo sempre più spesso, un appropriamento indebito da parte dei grandi centri urbani dell'acqua presente nelle aree che circondano la città, a danno degli agricoltori della zona che con l'acqua sono privati dei propri mezzi di sostentamento.
Questo fenomeno sembra destinato a moltiplicarsi. Si prevede infatti che la popolazione urbana, che nel 1990 era il 43% della popolazione mondiale, nel 2030 aumenterà fino al 61%.
La speranza è che una volta tanto i risultati effettivi si avvicinino anche minimamente all'obiettivo della FAO. Un obiettivo poco ambizioso? No, se si confronta con quello del World Food Summit del 1996, dimezzare il numero delle persone sottonutrite entro il 2015; un obiettivo che, con i ritmi attuali, potrebbe essere raggiunto solo nel 2150.
Come sottolineava Jacques Diouf, direttore generale della FAO, nella prefazione al The State of Food Insecurity in the World (2002) "…il tributo da pagare per la lentezza di questo processo è incalcolabile per tutti, a cominciare da chi soffre la fame. Fortunatamente invece è possibile calcolare il prezzo dei progressi da compiere, un prezzo abbordabile a condizione di avere con urgenza non il denaro ma la volontà necessaria."
L'acqua virtuale
Il concetto di "acqua virtuale" è stato coniato nel 1990, come indice per misurare il grado di dipendenza di una nazione rispetto alle altre per quanto riguarda il bisogno di cibo.
Per la sicurezza alimentare delle zone aride, dove l'acqua è necessaria per l'uso domestico e in supporto ai settori industriali, non è necessario utilizzare l'acqua per la produzione locale di cibo, poiché l'alternativa più economica e attraente è quella di importarlo. Si importano soprattutto i cereali, che sono alla base della dieta nazionale e sono piuttosto economici.
Focalizzando così l'attenzione sull'acqua, il commercio di cibo viene chiamato commercio in "acqua virtuale", e corrisponde al quantitativo di acqua necessario per produrre un particolare alimento.
Per esempio, una coltura come il grano necessita di circa 1500 litri di acqua per la produzione di un chilogrammo di cereale. Per il pollame, con un fattore di conversione di 4 a 1, corrispondente al rapporto fra quantità di grano mangiata e quantità di carne prodotta, l'equivalente in "acqua virtuale" è di 6000 litri per ogni chilogrammo di carne prodotta. Per il bestiame, il fattore di conversione è di 10 a 1, e quindi il contenuto di "acqua virtuale" per un chilogrammo di carne di manzo si aggira attorno ai 15.000 litri.
In questo modo il totale dell' "acqua virtuale" importata da un paese è una misura del grado di necessità di importazione che ha quel paese per soddisfare il fabbisogno interno di cibo.