Nord Africa
La nuova Libia di Gheddafi
e l'Italia
I rapporti (storici e futuri) tra l'Italia e la patria di Gheddafi
di Marco Trovato
Dalla Libia "Felix" di Mussolini a Gheddafi
La Libia Felix, così come veniva dipinta dalla propaganda del regime, avrebbe distribuito ricchezza e prosperità a due milioni di coloni volenterosi. Bisognava però sottomettere gli arabi. L'occupazione, guidata dal generale Rodolfo Graziani, fu spietata e sanguinosa: in Cirenaica un terzo della popolazione venne annientata, fu un autentico genocidio.
Racconta lo storico Angelo Del Boca: "Per stroncare la resistenza libica furono impiegati i mezzi più micidiali dell'epoca, come l'aviazione d'assalto, e si ricorse anche ad armi proibite, come bombe chimiche all'iprite, e a deportazioni di massa in lager letali". Del Boca, studioso rigoroso e tenace, ha avuto il merito di far luce sull'opaca e tempestosa pagina della nostra avventura coloniale, demolendone la visione mitica e romantica ("Tripoli, bel suol d'amore", si cantava in Italia all'inizio del secolo), e rilevando brutalità tenute nascoste per anni negli archivi militari.
Nei due documentati volumi "Gli italiani in Libia, dal fascismo a Gheddafi", Del Boca spiega come le autorità coloniali confiscarono centinaia di case e quasi 70 mila ettari della miglior terra per affamare i ribelli, e ammassarono migliaia di civili in veri e propri campi di concentramento. "Quando nel gennaio del 1932, il governatore generale della Libia, maresciallo Pietro Badoglio, annunciò trionfante che la ribellione era stata definitivamente stroncata" - scrive Del Boca - "almeno 100 mila libici, fra combattenti e civili, avevano perso la vita nella tenace ma vana difesa del loro Paese. A questi morti vanno aggiunti quelli causati dalle mine, sepolte a milioni nella sabbia del deserto dagli eserciti italiani, tedeschi e inglesi nel corso della Seconda guerra mondiale".
La Libia non ha dimenticato questa tragica pagina della sua storia. Gheddafi, quando salì al potere nel '69, chiese a Roma, invano, il risarcimento per i danni dell'occupazione e una condanna formale del passato colonialista. Inoltre espulse l'intera comunità italiana, oltre 20 mila persone, incamerandone i beni. "Fu un fatto doloroso, ma inevitabile", spiega ancora Del Boca. "Gheddafi aveva già chiuso le basi militari americane e inglesi, restituendo la sovranità al Paese. Doveva rompere definitivamente con i retaggi del colonialismo".
In anni più recenti, i rapporti tra Tripoli e Roma sono stati altalenanti, controversi, spesso avvolti dal mistero: appena salito al potere, Gheddafi ha ospitato nei suoi campi paramilitari le guerriglie di mezzo mondo e ha fornito sostegno a pericolosi terroristi; nel 1976 la Libia è entrata nel consiglio di amministrazione della Fiat; nell'80 un Mig libico è stato coinvolto (suo malgrado ?) nello scenario che ha portato all'esplosione del DC9 nel cielo di Ustica; nell'86 dopo il bombardamento americano su Tripoli, la Libia ha lanciato due missili Scud verso Lampedusa (il nostro governo aveva concesso la base di Sigonella all'aviazione USA per il raid); nell'88 la potente azienda petrolifera Tamoil, controllata da capitali libici, è sbarcata in Italia; nel '99 i giornali hanno rivelato un pronto intervento dei migliori cardiologi italiani per un'emergenza del Colonnello Gheddafi.
Italia-Libia: quale futuro?
Oggi le relazioni tra i due Paesi sono buone: un terzo delle importazioni petrolifere italiane arrivano dalla Libia, Roma è più che mai interessata a riequilibrare le relazioni bilaterali (la fornitura del greggio libico si traduce in un disavanzo della bilancia commerciale di 5 mila miliardi), decine di piccoli e grandi imprenditori operano già nel Paese maghrebino.
I rapporti diplomatici sono stati riallacciati nel luglio del '98, quando da parte italiana è arrivata - con colpevole ritardo - una condanna esplicita agli orrori del colonialismo. Massimo D'Alema è stato il primo Presidente del Consiglio europeo a volare a Tripoli (dicembre '99) dopo la fine dell'embargo, siglando lo sdoganamento politico della Libia e il suo pieno inserimento nello scacchiere diplomatico internazionale. Nella sua visita ufficiale, D'Alema ha reso omaggio ai martiri della resistenza libica, un gesto che è stato molto apprezzato dalla gente e che ha avuto grande eco sulla stampa.
Il capo dei partigiani libici, Omar al-Mukthar, fatto impiccare dai fascisti il 16 settembre del 1931, oggi presta il proprio nome alla via principale di Tripoli. Al-Mukhtar viene considerato dalla gente un eroe nazionale, una sorta di padre spirituale della patria. In suo onore sono stati costruiti monumenti, piazze, mausolei. Qualche anno fa Gheddafi ordinò la realizzazione di un film storico incentrato sulla sua valorosa lotta anti-coloniale.
Furono investiti parecchi soldi nella pellicola, il regista Mustafà Akkad chiamò sul set delle riprese Anthony Quinn e Oliver Reed. Non ne uscì un capolavoro ma - a sentire chi lo ha visto - un film avvincente e soprattutto fedele alla storia. "Il leone del deserto", questo il titolo del lungometraggio, è stato distribuito in mezzo mondo e trasmesso centinaia di volte dalla TV libica. In Italia è stato ufficialmente vietato perché "lesivo dell'onore dell'esercito".
[da www.missionaridafrica.org]