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Pubblicato su Politica Domani Num 43 - Gennaio 2005
Quando l'imprenditore è "responsabile"
Il caso di Adriano Olivetti
Un nuovo neo-realismo nel cinema italiano
di F.A.
Parlando di responsabilità sociale dell'imprenditore non si può non ricordare la figura di Adriano Olivetti (1901-60). Il celebre industriale negli anni '50 prese in mano le redini dell'azienda di famiglia, nata nel 1908, e la fece diventare una delle più importanti del mondo nel suo settore. Olivetti ha anticipato qualcosa di cui la nostra società ha un grande bisogno: è stato pioniere per eccellenza della borghesia responsabile, distinguendosi dagli industriali di allora per l'idea che aveva dell'impresa e della sua "missione". Non solo l'impresa doveva produrre ricchezza e competere efficacemente sul mercato, ma doveva anche accrescere l'occupazione, ripartire in modo equo i frutti del lavoro, diffondere una cultura laica e pluralista, creare un'organizzazione del territorio compatibile con la qualità della vita.
Ebbe l'intuizione di allargare la partecipazione dei suoi dipendenti alla vita di fabbrica rivalutando la dimensione umana del lavoro, schiacciata sulla catena di montaggio della fabbrica fordista-taylorista, diminuendo così e sfumando gli elementi di ostilità tipici del rapporto datore di lavoro-lavoratore. Riuscì a creare un equilibrio tra le ferree leggi dei cicli produttivi e le esigenze di "umanizzare" il lavoro. Fu uno dei primi ad introdurre in Italia i principi della Scuola delle Relazioni Umane: accantonare l'idea di "uomo bue" a vantaggio di una figura di lavoratore, di un tipo di lavoro e di un ambiente lavorativo più vicini alle esigenze umane dell'operaio.
Lo spirito di collaborazione instaurato con i suoi operai - si rivolgeva loro chiamandoli "amici" -, aveva creato qualche diffidenza nei sindacati, timorosi che da un rapporto di tipo "fraterno" e fondato sulla comprensione reciproca si passasse ad uno di tipo "paternalistico". Le organizzazioni dei lavoratori, poi, non apprezzarono la scelta di Adriano Olivetti di creare un sindacato aziendale che fosse più disponibile a tradurre in accordi le sue idee. I sindacati aziendali vennero detti "di comodo" e la loro costituzione venne vietata nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori.
Adriano Olivetti ha creduto nella possibilità di lavorare insieme imprenditori e lavoratori per il bene dell'impresa e il miglioramento della comunità nel suo complesso. In molti però oggi, pur apprezzando la sua sensibilità e la sua capacità di guardare lontano, gli rimproverano di non aver messo le sue idee al servizio di un confronto più generale con l'intero movimento sindacale italiano. Il mondo che Olivetti aveva costruito attorno alla sua impresa, era probabilmente un'isola troppo felice: fu accusato per questo di aver contribuito a dividere il fronte delle confederazioni sindacali con la sua discriminazione a favore di un sindacato e a danno di altri. Una divisione di cui probabilmente Adriano Olivetti, pur essendone consapevole, non era responsabile.
L'intervista impossibile
Camillo Olivetti
L'industria come modello di design Ugo Gregoretti
- Quando si dice Olivetti si pensa alla macchina da scrivere... Ma l'azienda che lei ha fondato nel 1908 ha sempre cercato di sfuggire all'aridità dei processi produttivi. Come è successo?
Camillo Olivetti
- Sono sempre partito dall'assunto che la macchina da scrivere non dovesse essere un gingillo da salotto, con ornamenti dì gusto discutibile, ma dovesse avere un aspetto serio ed elegante al contempo. Da qui la filosofia di un'azienda sempre diretta al giusto compromesso tra il momento produttivo e quello sociale, perseguito con varie iniziative e manifestazioni.
Ugo Gregoretti
- Le iniziative e le manifestazioni alle quali ha accennato sono un esempio unico nel panorama italiano
Camillo Olivetti
- Parallelamente, anzi simbioticamente alla produzione della fabbrica, si decise di intraprendere alcune iniziative, seguite in prima persona da mio figlio Adriano, dal 1933 direttore generale. Furono chiamate personalità di grande rilievo in tutti i campi della progettazione, capaci di seguire e di stimolare ogni tipo di attività. Nacquero riviste, 'Tecnica e organizzazione', 'Sele arte', 'Zodiac', uffici pubblicità, si promossero mostre, si aprirono stabilimenti e negozi Olivetti in tutto il mondo.
Ugo Gregoretti
- Insomma l'immagine vincente all'estero del prodotto italiano?
Camillo Olivetti
- Anche quello ma non solo. La progettazione dei nuovi stabilimenti di Figini e Pollini, la redazione del piano regolatore di Ivrea e della Val d'Aosta erano esempi di come la realtà produttiva intendeva rapportarsi alla comunità nella quale agiva... Ci siamo sempre interrogati sui fini dell'industria, abbiamo perseguito un tipo nuovo di impresa che favorisse il passaggio da una comunità di fabbrica a una comunità territoriale. La simbiosi tra utile e bello non doveva riguardare solo l'oggetto finito ma improntare di sé tutto il ciclo produttivo.
Citando Morris, "Il vero lavoro è il segno più alto dello spirito della vita". Ecco in questo noi crediamo.
[Fonte: Rai Educational]
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