Pubblicato su Politica Domani Num 5 - Maggio 2001
Sharon e' l'uomo della crisi?
GERUSALEMME: UNA FERITA ANCORA APERTA
Non si arresta la violenza nei territori occupati,
gli USA intervengono
E' di nuovo crisi tra israeliani e palestinesi.
Con la vittoria del Leader della destra Ariel Sharon alle ultime elezioni
presidenziali tenutesi in Israele il 6 febbraio scorso, le trattative
di pace sono ancora una volta appese ad un filo sottile.
C'è il rischio, infatti, che il corso
della violenza, che sembrs inarrestabile, generata dalla salita al potere
in Israele di Sharon porti a vanificare tutti gli sforzi finora fatti
per raggiungere un accordo di pace.Gli arabi palestinesi non hanno accettato
la salita al potere di Sharon -"il Terrorista", "il Macellaio" e "l'Assassino"
(questi gli appellativi che i maggiori quotidiani palestinesi hanno
riservato al nuovo Premier israeliano) - e hanno iniziato una nuova
Intifada: gli Hamas e gli Hezbollah hanno ripreso a pieno ritmo la loro
attività terroristica e tra gli israeliani è tornata a farsi viva la
paura degli attentati. Israele ha risposto all'Intifada e alla violenza
terroristica occupando i territori e rendendo impossibili gli spostamenti
per i palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza. Tale area, in base
agli accordi di Oslo del 1993, è controllata da Israele anche se vi
abitano più di un milione di palestinesi e solo il 20% del territorio
è a disposizione dei coloni israeliani. A riguardo Edward W. Said* ha
affermato che con la firma dei trattati di Oslo il popolo palestinese
si è arreso, ha accettato di riconoscere Israele e ora gli israeliani
hanno un controllo ancora più grande sui territori. Le violenze quotidiane
cui si assiste in Medio Oriente non trovano giustificazioni né dall'una
né dall'altra parte. È facile trovare un capro espiatorio alla violenza,
si deve soltanto chiudere gli occhi per vedere solo quel che fa comodo
vedere. In ciò che accade in Palestina, però, è facile riconoscere che
i palestinesi sono vittime delle vittime.
A permettere che la situazione degenerasse
a tal modo è stata anche la politica internazionale del primo dopo guerra,
quando gli stati alleati non hanno esitato a riconoscere lo stato di
Israele, neo-formatosi in Palestina nel 1948, sebbene il malcontento
degli arabi fosse stato più che esplicito. Si è creduto così di poter
risarcire in qualche modo il popolo israeliano martoriato dall'Olocausto
nazista. Gli USA hanno un peso determinante nella politica israeliana:
in passato hanno sempre appoggiato tacitamente le scelte politiche di
Israele, ma oggi sembra che il presidente Bush abbia intenzione di intervenire
più esplicitamente nella questione. Il 18 aprile scorso, infatti, gli
Stati Uniti hanno apertamente invitato Sharon ad ordinare il ritiro
dell'esercito dai territori occupati e quest'ultimo non ha esitato a
dare l'ordine per evitare una crisi internazionale. Questo può essere
considerato come il primo fallimento diplomatico di Sharon, ma resta
il fatto che in Medio Oriente alla violenza si continua a rispondere
con la violenza in un intreccio di sangue dal quale ormai è davvero
difficile uscire. Per istituire una pace davvero duratura nei territori
palestinesi sarebbe opportuno che entrambi i popoli si rendessero conto
che il primo passo da fare è quello di accettare spontaneamente quella
convivenza necessaria che potrebbe mettere almeno fine all'escalation
della violenza e dei fatti di sangue. Sicuramente il cammino verso la
pace sarà ancora lungo e difficile, ma potrà essere percorso in un clima
più sereno in cui la violenza sarà propria di episodi isolati.
Maria Cristina Conti
*Edward W.Said, è uno tra i più noti intellettuali
palestinesi contemporanei, membro del consiglio nazionale palestinese
dal 1977 al 1991.