Giustizia
Un carcere che è frutto di scelte politiche sbagliate
Con la nuova riforma del sistema giudiziario si introducono in un ambito complesso e delicato come quello della giustizia le stesse logiche competitive e sregolate che già ci sono nel sistema economico
di Maria Mezzina
"Questo carcere è l'esito di scelte o di mancate scelte politiche sull'immigrazione. A imitazione di quanto avviene negli Stati Uniti, anche qui da noi si sta pensando di togliere dai piedi i 'gruppi a rischio', si sta spostando il problema dell'immigrazione dentro le carceri. Il carcere rischia di diventare il sostituto delle politiche sociali. E tutto accade senza che l'opinione pubblica se ne renda conto."
Il giudizio è di Sergio Segio. Lui il carcere lo ha vissuto a lungo, sulla propria pelle da detenuto accusato di omicidio durante gli anni '70, capo di Prima Linea, dissociatosi dalla lotta armata. Per Segio l'esperienza del carcere è stata fondamentale, l'occasione per riflettere, capire e decidere di rivolgere energie ed intelligenza al servizio degli altri nel tentativo, questa volta positivo, di cambiare la società. Segio fa parte della redazione di "Dignitas", la rivista dei gesuiti sui temi del carcere e della pena; è responsabile della comunicazione del gruppo Abele di don Luigi Ciotti; coordina il "Rapporto sui diritti globali" pubblicato dall'Associazione SocietàINformazione, una Onlus di Milano nata nel 2001 e attiva sui temi sociali. Vale a dire, uno che con il carcere ha scoperto se stesso e gli altri.
Difficile, se non impossibile per un immigrato avere un avvocato. Quelli di fiducia costano, quelli d'ufficio sono spesso introvabili. E c'è il problema della lingua: non ci sono abbastanza interpreti. I i fondi per la cosiddetta "mediazione culturale" sono ridotti quasi a zero, con tutte le conseguenze: ingiustizie, perpetrate a danno dei più deboli perché più poveri e incapaci di esprimersi e capire, e tensioni all'interno del carcere.
Generalmente e profondamente disatteso è, quindi, l'articolo della Costituzione italiana che vede nella detenzione il mezzo per la riabilitazione e il reinserimento nella società. E qui va fatta una considerazione amara. Visto che il processo di riabilitazione è, di fatto, ampiamente negato e che non si riesce a modificare la situazione reale per renderla compatibile con quanto stabilito dalla Costituzione, allora tanto vale - è la tentazione - adattare la Costituzione alla realtà e cambiare la Costituzione. Più facile.
Ci pare che sia in questa direzione - per preparare il terreno normativo e culturale a questo adattamento - che va la proposta di legge (la ex-Ciriello) in materia di ordinamento carcerario e di modifica del codice penale. Si introducono "in ambito penale le logiche competitive e sregolate che già ci sono nel sistema economico: chi ha più mezzi, chi è più forte, chi è più furbo, ce la fa; chi non ha mezzi, chi è meno forte e chi è meno furbo, non ce la fa." Sono le parole di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone*, il quale osserva anche che "ci stiamo discostando dalla tradizione europea e avvicinandoci a quella americana. Negli Usa si assiste a fenomeni di imprigionamento di tutte le marginalità sociali e di contenimento dei soggetti esclusi dal sistema economico e produttivo."
La proposta di legge italiana - approvata al Senato lo scorso luglio, deve essere discussa alla Camera per l'approvazione definitiva - prevede la riduzione dei tempi di prescrizione, ma per la recidiva ci sono pene più severe, l'esclusione dai benefici e tempi di prescrizione più lunghi. Sarebbero così "graziati" - e ripetutamente, perché l'assoluzione per prescrizione dei termini è un'assoluzione vera e propria - tutti coloro che possono permettersi abili avvocati che giocando sulle garanzie procedurali riescono a far allungare i processi in modo da arrivare alla prescrizione del reato. Rimarrebbero in carcere e la loro posizione sarebbe sempre più grave tutti quelli che commettono un nuovo reato dopo essere già stati condannati per uno precedente. Si tratta in genere di piccoli criminali, tossicodipendenti e immigrati costretti, quando c'è, ad un avvocato d'ufficio e spinti a reiterare il reato da condizioni obiettive di povertà economica e culturale.
In questo modo le carceri verrebbero svuotate di pochi grandi criminali, potenti e influenti - i quali, in realtà, in carcere non finirebbero mai - e si riempirebbero di poveri disperati "lungodegenti".
La situazione potrebbe, cinicamente, presentare un lato positivo: al nuovo affollamento nelle carceri, già ora a livelli di guardia e sul limite dell'esplosione, occorrerebbe rispondere con la costruzione di nuove carceri e l'assunzione di nuova polizia penitenziaria, anch'essa già ora ampiamente al di sotto del limite necessario a sostenere una situazione di crescente disagio. Nuovi posti di lavoro, quindi. Specie nell'edilizia. Perché è probabile che, invece, alla polizia penitenziaria vengano chiesti altri pesanti sacrifici. Per mancanza di fondi.
La riflessione - amara - ha un suo riscontro: sia il presente governo di centrodestra che quello precedente di centrosinistra hanno deciso di investire nell'edilizia penitenziaria. È la risposta alla previsione di due fallimenti clamorosi: quello delle politiche sociali e quello delle politiche per la giustizia. C'è da riflettere.
* Antigone, associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale.
Sito web www.associazioneantigone.it
Quanti sono
I detenuti nel mondo
Nel mondo ci sono più di 8 milioni di detenuti, persone condannate o in attesa di giudizio. Oltre la metà si trovano negli Stati Uniti (1,7 milioni), in Cina (1,4 milioni) e in Russia (1 milione).
La più alta percentuale di detenuti è in Russia (685 reclusi ogni 100.000 abitanti). Seguono gli Stati Uniti (645) e le Isole Cayman (575). Il 65% dei paesi hanno percentuali intorno o inferiori ai 150 detenuti ogni 100.000 abitanti. La popolazione carceraria nei paesi dell'Unione europea è inferiore a questa media. Il paese con il maggior numero di reclusi è infatti il Portogallo (145) seguito dal Regno Unito (125), che è a metà della classifica mondiale. I dati sono del 1999. Allora in Italia c'erano 85 detenuti ogni 100.000 abitanti, oggi (2005) ce ne sono 102.