Pubblicato su politicadomani Num 55 - Febbraio 2006

Scenari
Israele, Palestina e la democrazia
Una buona dose di pragmatismo è necessaria da parte di tutti, comunità internazionale compresa per superare lo shock della vittoria di Hamas in Palestina e riprendere la via della pace

di Maria Mezzina

25 gennaio 2006, Palestina. Alle elezioni politiche ha vinto Hamas: 76 seggi su 132, una maggioranza assoluta e schiacciante. Una vittoria limpida perché l'affluenza alle urne è stata altissima e gli osservatori internazionali hanno garantito sulla regolarità del voto. Mentre il popolo palestinese esulta, Israele e il resto del mondo sono rimasti senza parole. Sorpresi e attoniti. Intanto Sharon rimane gravemente ammalato in ospedale. Con una delle sue solite decisioni tanto improvvise quanto unilaterali e irrevocabili (sempre però sapientemente calcolate), il vecchio condottiero aveva abbandonato il Likud - il partito di estrema destra presso il quale aveva sempre militato - per fondare Kadima, un partito moderato, in aperta opposizione al Likud troppo ostile alla sua nuova strategia di pace. L'uomo sul quale avevano puntato l'indice accusatore i pacifisti di mezzo mondo ma che con Kadima aveva riacceso le speranze di pace non ce l'ha fatta ad assistere allo sconvolgimento.
Proviamo a pensare ad uno scenario diverso: l'ictus non c'è stato ed egli è ancora il premier al centro della vita politica israeliana, a capo di Kadima. La nuova strategia di Sharon avrebbe convinto i palestinesi che il vecchio nemico si era convertito alla pace inducendoli a votare per Fatah, il partito di Abu Ala e di Abu Mazen, il presidente succeduto ad Arafat, che aveva iniziato un difficile cammino verso la pace? Oppure, come è stato detto, la sua strategia è arrivata troppo tardi, o piuttosto la sua malattia è arrivata troppo presto? Oppure, come dicono altri ancora, sono state proprio le sue concessioni ai palestinesi, con il ritiro dei coloni israeliani dalla striscia di Gaza, ad avere causato il massiccio sostegno ad Hamas?
È noto che i risultati di una consultazione democratica non sono sempre quelli sperati. La democrazia va infatti costruita in mezzo alla gente molto prima delle elezioni ed è fatta di attenzione alle necessità delle persone, di rispetto e di partecipazione. Qualsiasi forma di coercizione esterna e di violenza non fa altro che riunire un popolo attorno ai leader della sua resistenza. La politica delle uccisioni "mirate" dei capi di Hamas - a colpi di cannone, con le inevitabili conseguenze di distruzione e morte di innocenti, donne, vecchi e bambini -, inclusa quella del suo fondatore lo sceicco Ahmed Yassin, vecchio e cieco su una sedia a rotelle, che fece un'enorme impressione e suscitò un'enorme ondata di proteste nel mondo intero, oltre alle condanne della comunità internazionale ha saldato ancora di più il legame fra i palestinesi e Hamas. La corruzione diffusa e dilagante del partito di Fatah, con il quale i grandi della terra e Israele avevano aperto colloqui diplomatici, è agli occhi dei palestinesi in stridente contrasto con l'attenzione di Hamas verso i palestinesi più poveri, tra i quali finora Hamas è riuscita a reclutare gli elementi per la sua resistenza armata e i "martiri" per i suoi attentati. Questi sono fatti e probabilmente anche le ragioni della vittoria di Hamas.
Ora il vecchio leone non c'è più né c'è speranza che torni. Alla guida di Kadima (che significa "Un passo avanti") c'è Ehud Olmert, vice di Sharon. Il programma del nuovo partito è (o era?) la pace fra Israele e Palestina. Questo programma di pace aveva spinto ad aderire al partito anche Peres e molti altri moderati provenienti dalle fila sia del Likud che del partito laburista israeliano. Kadima era subito salito nei sondaggi di gradimento dei tanti israeliani moderati, stanchi di guerra, attentati e violenze, ponendosi al primo posto fra i probabili vincitori delle prossime elezioni politiche in Israele che si terranno il 28 marzo prossimo.
È un fatto che adesso sarà Hamas a guidare il nuovo governo palestinese: un partito che ha un suo braccio armato, che non fa mistero di non riconoscere la legittimità dell'esistenza dello stato israeliano, che tra le sue fila accoglie e coltiva terroristi-suicidi pronti a farsi esplodere. Un partito, però, che ora ha inequivocabili responsabilità di governo e con i cui rappresentanti dovranno misurarsi capi di stato e istituzioni internazionali.
L'uscita di scena di Sharon e la vittoria di Hamas rimettono tutto in discussione. C'è il rischio che tutto si sciolga come neve al sole: Kadima e l'intero processo di pace. Molto dipende da quanto Israele, gli Stati Uniti, l'Europa, i paesi arabi e Hamas sapranno tenere i nervi saldi. Ora la pace dipenderà da come si sapranno affrontare problemi come quello dei confini dei territori palestinesi, del ritorno dei profughi, di Gerusalemme città santa e capitale per ebrei e palestinesi. Occorre mettere in campo una grande dose di pragmatismo lasciando da parte ideologie e risentimento. Le condizioni per una pace giusta, reale e duratura sono tutte previste nelle tante risoluzioni Onu (sempre disattese) e nei tanti trattati, ultimo quello di Oslo. Purché ci sia il riconoscimento, uno accanto all'altro di due stati indipendenti e sovrani, si depongano le armi e sia bandita qualsiasi forma di violenza
I prossimi 60 giorni saranno decisivi e cruciali per la situazione israelo-palestinese, per il medioriente e per il mondo intero.

 

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