Pubblicato su politicadomani Num 56 - Marzo 2006

Scrive Amira Hass, giornalista di Ha'aretz
Notizie di serie B
L'autocensura dei mezzi di informazione è una moda diffusa, che ha ha radici e motivazioni profonde: vuole promuovere consensi verso il governo in carica. Qualche giornalista, invece, preferisce la libertà

 

Una telefonata alle sette e dieci del mattino può essere solo di qualcuno bloccato a un posto di controllo militare o di un attivista di Mahsom-watch: entrambi sperano che il mio intervento, in quanto giornalista che informa i comandi militari di un lungo ritardo o di qualche altra ingiustizia, possa fare un miracolo. In alcuni casi funziona, ma il più delle volte no. La scorsa domenica, però, la telefonata mattutina è arrivata da un giornalista di una radio israeliana, che mi ha chiesto un'intervista per il suo programma. "Non posso", ho risposto. "Può consigliarci qualcuno?". Sapevo che erano interessati all'ingresso vittorioso di Hamas nel parlamento palestinese, la cui prima seduta si era svolta il giorno precedente.
In tutto il mondo i principali mezzi d'informazione creano una gerachia di notizie che corrisponde più o meno alle priorità nazionali decise dai governi. Questa, nel caso dei mezzi d'informazione israeliani, sfrutta e rafforza il sostegno pubblico all'occupazione e alle politiche di colonizzazione. I media seguono l'esempio del governo, che fa affidamento sul consenso dei cittadini e a sua volta lo alimenta. Questo giustifica la scelta "professionale" delle notizie che corrispondono al gusto generale. La gerachia ufficiale, considerata dalle persone "obiettivamente vera", esclude i fatti che intralciano la visione ufficiale del mondo. Le decisioni israeliane che frammentano la Cisgiordania in zone separate e densamente popolate rientrano tra queste notizie "escluse".
"Non mi avete chiamato la settimana scorsa", ho detto al giovane giornalista, "quando Ha'aretz ha pubblicato il mio articolo sulla valle del Giordano e su come Israele l'ha separata dal resto della Cisgiordania occupata, impedendo ai palestinesi di raggiungerla. Quando mi chiamerete per sapere in che modo Israele costruisce un sistema che non è esagerato definire "apartheid", accetterò di parlare anche di Hamas".

[Da Internazionale n. 630, pag.15]

 

L'opinione
di Gideon Levy
(giornalista israeliano noto per le sue posizioni pacifiste)

La buona notizia dai territori occupati è che Hamas ha vinto le elezioni. Contrariamente a quanto dice il coro degli allarmisti, il cambiamento politico in Palestina potrebbe essere una novità positiva. Non che la vittoria di un'organizzazione religiosa estremista sia senza pericoli e problemi, e che non sarebbe stato preferibile un movimento laico, moderato e non corrotto. In sua assenza, però, nella vittoria di Hamas si possono cogliere alcuni aspetti interessanti.
Innanzitutto questo è un risultato autentico, raggiunto in elezioni più che democratiche, anche se avvenute nelle condizioni meno democratiche immaginabili, ossia sotto occupazione. Come al solito i nostri esperti avevano lanciato l'allarme sulla possibile anarchia che si sarebbe potuta verificare in occasione del voto. Invece la nazione palestinese si è espressa con ammirabile ordine. Ha detto no a un partito che non è riuscito a compiere nessun passo avanti nella giusta lotta contro l'occupazione, e che ha detto sì a chi le è sembrato più coraggioso e con le mani pulite. La questione religiosa è rimasta in secondo piano: si può tranquillamente dire che la maggior parte dei palestinesi non vuole uno stato religioso. Vuole uno stato libero.
[da Internazionale n. 627, pg. 22]

 

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