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Pubblicato su politicadomani Num 59/60 - Giu/Lug 2006
Pandemia di Aids in Africa
Non sono "mele marce"
La vergogna dell'Aids spinge molti malati a nascondere il loro stato e contribuisce a diffondere una malattia che in Africa farà 55 milioni di morti entro il 2020 di Daniele Proietto Febbraio 2005, nel messaggio per la giornata mondiale del malato, Giovanni Paolo II si riferì alla salute come ad una "situazione di armonia dell'essere umano con se stesso e con il mondo che lo circonda […] Purtroppo però quest'armonia è oggi fortemente turbata. Tante malattie devastano il continente, e fra tutte in particolare il flagello dell'Aids che semina dolore e morte in numerose zone dell'Africa".
Per capire la reale dimensione del problema è utile analizzare alcuni dati di questi ultimi anni. La popolazione dell'Africa Subsahariana è di 862 milioni di abitanti. Nel 2005 i sieropositivi o malati di Aids erano 25,8 milioni, di cui 13,5 milioni le donne tra i 15 e i 49 anni, e le vittime sono state 2,4 milioni. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata. Nel 2003, infatti, i malati o sieropositivi erano 24,9 milioni e le donne fra i 15 e 19 anni erano 13,1 milioni; le vittime sono state 2,1 milioni; 1,9 milioni di bambini (fra 0 e 14 anni) erano sieropositivi o avevano contratto l'Aids e 12,1 milioni (da 0 a 17 anni) erano orfani a causa dell'Aids. La percentuale di contrazione del virus, sulla popolazione globale, che era del 7,3% nel 2003, nel 2005 è passata al 7,2% (la diminuzione di un decimo di punto è dovuta alla contrazione della popolazione per effetto dei decessi a causa della malattia). Una vera pandemia che fra il 2000 e il 2020 porterà alla morte, di 55 milioni di africani. (I dati sono tratti da "La Civiltà cattolica" n. 3741, 6 maggio 2006, pag. 262)
I numeri però non bastano a descrivere le sofferenze di un popolo. Non è certamente un segreto che l'Africa sia un paese povero, ed è altrettanto noto che la povertà economica spesso si accompagna ad una sorta di arretratezza culturale. È proprio questa fragilità sociale che ha permesso all'Aids di diffondersi in maniera così devastante. Già nel 2000 il presidente Sudafricano Thabo Mbeki, affermava che la vera causa dell'Aids risiede nella povertà e nell'ignoranza, che hanno fornito all'Hiv un formidabile alleato: la vergogna. In Africa quando una persona è affetta dal virus, viene automaticamente segnata dalla società con un marchio di infamia: i sieropositivi non possono viaggiare sui mezzi pubblici, sono costretti a lasciare gli appartamenti in cui vivono in affitto e persino negli ospedali e nelle strutture sanitarie si manca loro di rispetto. Sono perseguitati anche a livello di istituzioni. In Nigeria un capo militare ha ordinato l'arresto e l'imprigionamento di tutti i malati di Aids, convinto di fermare così il diffondersi del virus. Nella comunità di Gugu Dhalamini, in Sudafrica una donna è stata uccisa per aver detto pubblicamente di essere sieropositiva. Nello Swaziland, il principe Tfohlongwane per giustificare la segregazione dei malati di Aids ha detto: "Non si devono tenere le mele marce nello stesso cesto di quelle buone, altrimenti anche esse alla fine si guasteranno".
Per sfuggire a questa situazione di emarginazione e di umiliazione, molti malati tengono nascosta la loro condizione e continuano ad avere rapporti sessuali non protetti anche all'interno delle famiglie.
In Africa l'informazione sulla prevenzione delle malattie trasmissibili sessualmente è solo un lontano miraggio; la donna deve spesso piegarsi alle richieste sessuali del coniuge e la prostituzione forzata e lo stupro di donne e bambini rientrano nella quotidianità. Tuttavia nella cultura africana esiste per certi versi una posizione vicina alla Chiesa nei confronti della sessualità: sono presenti tradizioni radicate che incoraggiano l'autocontrollo in ambito sessuale; è largamente diffuso l'uso di evitare il sesso in circostanze particolari quali la gravidanza, l'allattamento e in caso di adulterio. In molte etnie i rapporti prematrimoniali sono vietati. In Africa la fecondità è vista come un bene di primaria importanza, in quanto generatrice di vita, e altrettanto valore ha la castità che si ritiene che protegga la vita e la sua qualità. Inevitabile allora la condanna della sessualità sregolata e corrotta, una condanna, però, profondamente ingiusta verso tante vittime innocenti.
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