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Pubblicato su politicadomani Num 64 - Dicembre 2006
Trattamento e distruzione
Materie ancora utili o rifiuti?
Bruciare o riciclare: due vie alternative … a valle dello sperpero di Stefano Falomi Quali e quanti ricordi scolastici evoca il nome di Lavoisier nel lettore? Lui per primo mostrò che in una reazione chimica, la quantità di materia è la stessa all'inizio e alla fine, anche se la materia cambia il suo stato. Un principio, la legge di conservazione della massa, che nessuno, italico furbo o no, può contravvenire. Almeno finché operiamo reazioni diverse da quelle attivate nelle bombe atomiche e nelle centrali nucleari. In tutte le combustioni, come vediamo quando bruciamo legna nel camino, ci sembra di far "scomparire" chili e chili di materia, restando solo con un po' di cenere. E fatichiamo a credere che il resto sia nei fumi che salgono e vanno ... via nel vento. Eppure è proprio così e basta misurare per credere. A meno di non volere comunque credere in un'illusione irrazionale.
Parlare quindi di "smaltimento di rifiuti" e di "valorizzazione energetica" di fronte ad un impianto che brucia "monnezza" più o meno trattata, a ben guardare è una favola per gonzi, un inganno da secoli ormai svelato scientificamente. Una favola che conserva una sua razionalità economica se consideriamo solo gli utili di qualcuno - pubblico o privato poco importa - trascurando, come spesso si fa, i costi che qualcun altro pagherà (in salute o come diverso effetto dell'inquinamento).
Le principali modalità di trattamento dei rifiuti sono:
1. lo smaltimento in discarica
2. la selezione dei rifiuti indifferenziati con produzione di CDR (combustibile da rifiuto). Da questa conseguono:
- termodistruzione del CDR, con recupero di energia
- trattamenti di recupero di scorie da termodistruzione
- trattamento di inertizzazione di ceneri da combustione
3. valorizzazione di flussi di materiali da raccolta differenziata
L'interramento è il metodo più primitivo: facciamo "scomparire" solo alla vista i nostri scarti. È ancora questo il sistema di smaltimento più diffuso nel nostro Paese, ad onta degli accordi e degli impegni sottoscritti a livello internazionale. Chissà perché, però, è sempre più difficile trovare qualcuno disponibile a tenersi una discarica o un inceneritore vicino casa.
Bruciare i rifiuti appare già una soluzione più evoluta, che richiede uno sforzo tecnologico. Rileviamo però uno scontro in atto attorno ai cosiddetti termovalorizzatori (o più correttamente: inceneritori), fra chi ne vorrebbe costruire altri e chi chiede di chiudere quelli esistenti. Quali le ragioni? La questione da un lato implica la trasformazione di materia; cioè, come abbiamo visto, la scomparsa di alcune sostanze con la comparsa di altre. Da un altro la valutazione di costi e ricavi economici e di altra natura, la considerazione di chi sono i beneficiari e chi paga.
Le comunità opulente producono quantità procapite elevate di sostanze che chiamano "rifiuti"; per la loro rimozione ciascuno è chiamato a pagare un prezzo e la tariffa di smaltimento; curiosamente è variabile da comune a comune; anche per comuni serviti dallo stesso gestore del servizio.
Ma torniamo alla maleodorante pattumiera di casa. Alcuni soggetti prendono i rifiuti, li bruciano, ottenendo energia elettrica che vendono; ottengono anche altre diverse sostanze, solide ed aeriformi in prevalenza. Gli aeriformi se ne vanno istantaneamente in fumo, appunto, e se li porta il vento. I solidi, sia pure ridotti al 30% dei rifiuti originali, sono ora ceneri e sostanze tossiche che vanno conferite in siti per rifiuti speciali. A meno di non trovar loro un impiego, ad esempio come materiali da costruzione. Dimentichi che abbiamo usato amianto e formaldeide per decenni e che ancora si discute nei tribunali se sono dipesi effettivamente da loro tutti quei tumori. Negli aeriformi, oltre a numerose sostanze inquinanti che si cerca più o meno di bloccare, sono presenti le nano-polveri, particelle da 100 a 1000 volte più piccole delle famigerate PM10 (quelle, per intenderci, che determinano con la loro concentrazione l'arresto del traffico nei centri urbani). Le grandi si può catturarle, anche se costa un po'. Le piccole no, lo stato dell'arte è ancora grossolano. Su queste nanoparticelle si sta richiamando l'attenzione per la patogenicità che viene loro attribuita; una volta respirate, infatti, non vengono espulse, ma sono inglobate nelle cellule degli organismi viventi; dove permangono. Ci sarà tempo nei decenni prossimi per discutere nei tribunali anche di queste. Il progresso avanza, e si sa, non c'è "progresso" senza qualche costo da pagare.
Il problema è che la convenienza economica di tali impianti sta tutta e sola nei contributi statali. L'Italia è poi l'unico paese dell'Unione Europea a finanziare gli inceneritori con fondi pubblici, avendo il governo passato, in contrasto con le direttive europee, stabilito che i rifiuti, compresa la frazione non biodegradabile (cioè quelle sostanze che fanno il giro una volta sola: estratte dal suolo, utilizzate, scartate), siano ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili. Insomma, tutti noi paghiamo nella bolletta elettrica una sovratassa per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. E che c'è di più rinnovato, giorno dopo giorno, della "monnezza"? Eliminati tali incentivi cadrebbe l'unica sostanziosa motivazione che anima i propugnatori della "termovalorizzazione'.
Ecco perché una petizione popolare promossa dal forum ambientalista nazionale chiede che:
- venga radicalmente rivista la politica dell'intero ciclo di produzione e di gestione dei rifiuti, abbandonando la non-soluzione dell'incenerimento in quanto nociva, con bilanci energetici negativi, e antieconomica
- vengano attivate concretamente e diffusamente politiche di riduzione, di riutilizzo e di riciclaggio dei rifiuti urbani ed industriali e quindi della materia-energia in essi incorporata
- vengano favorite le tecnologie a freddo per trattare i rifiuti che restano dopo le raccolte differenziate e le pratiche di riutilizzo e di riciclaggio.
- venga ridotta, infine, quella parte di tariffazione che finanzia la costruzione di inceneritori e vengano tolti gli incentivi - certificati verdi - per l'incenerimento dei rifiuti Più sensato e più razionale appare, certo da un punto di vista conservativo e non da quello dissipativo, il riuso dei materiali per quel che sono, per le caratteristiche che è costato impegno dar loro.
Si parla tanto di raccolta differenziata e più di qualcosa accade, anche se poco nel Lazio. All'edizione 2006 della competizione di Legambiente che classifica i Comuni Ricicloni hanno partecipato più di 2000 enti locali.
(www.ecosportello.org)
Dalle nostre parti non è soltanto una questione di educazione del cittadino. Se io mi faccio carico di separare in casa carta, vetro, plastiche, metalli, materie organiche - facendo ben attenzione a non "inquinare" l'uno con l'altro - e poi trovo il cassonetto inagibile o, peggio, vengo a scoprire che tutto finisce nella medesima macchina compattatrice e va in un'unica discarica (Gaia docet), che fiducia dovrei avere nei gestori del servizio di raccolta e trattamento?
C'è da chiedersi quale business, pubblico o privato che sia, passa sopra le nostre teste. Partecipazione e trasparenza appaiono sempre più specchietti per le allodole e trappole per gli allocchi. Anche se questo non deve diventare, come invece sta accadendo, un alibi per il disimpegno e per lasciare soli "lor signori" a gestire il bene comune.
E quand'anche vivessimo nel comune felice che ricicla per oltre il 50%, dovremmo comunque preoccuparci di fronte alle foto che vengono da Gui Yu in Cina o da Lagos in Nigeria, le pattumiere mondiali dei rifiuti elettronici mondiali (http://www.ban.org/photogallery/index.html). Il mercato globale ha trovato che là è economicamente conveniente recuperare di tutto da quei PC, televisori, telefonini, che per noi diventano obsoleti e da gettare nel giro di qualche semestre, forse con qualche costo ambientale e di salute.
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