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Pubblicato su politicadomani Num 68 - Aprile 2007
Intervista a Padre Gaetano
Alcuni, innocentemente,
dicono che è quasi un paradiso
È pieno soprattutto di adolescenti stranieri e di rom il carcere minorile di Casal del Marmo, l'ultima spiaggia, per ora, quando mancano sia la famiglia sia i centri di affidamento adeguati anche per i casi più gravi
di mm&ds Padre Gaetano Greco è un religioso dei Terziari Cappuccini dell'Addolorata, un ordine nato in Spagna oltre un secolo fa, che si occupa della rieducazione dei giovani. Diffusisi ben presto in tutto il mondo, specie in Sud America, i Terziari arrivarono in Italia nel 1955 dove, a San Giovanni Rotondo, fondarono una casa e presero a gestire una parrocchia. Fu lì, in parrocchia che Padre Gaetano rimase affascinato da un sacerdote per il suo modo di porsi e di dialogare specialmente con i giovani, e scelse così di entrare nell'ordine. Ordinato sacerdote nel 1973, nel 1975 partì alla volta della Sardegna per lavorare in un centro di rieducazione. Nel 1981 fu trasferito a Roma per sostituire "provvisoriamente" il cappellano di Casal del Marmo, un suo confratello spagnolo, e lì è rimasto, da ormai 26 anni. pd - Quale è stato il suo impatto con i ragazzi di Casal del Marmo?
L'impatto con il carcere non è stato dei migliori perché nella mia formazione è molto forte la concezione di una educazione vissuta in libertà. Trovarmi quindi a lavorare in un carcere è stato inizialmente un impegno gravoso. Poi le cose sono migliorate perché ho visto che i ragazzi mi accettavano e mi rispondevano positivamente e mi hanno voluto bene da subito. Sono felice di quello che ho fatto e di tutti i ragazzi che ho visto passare di lì. Come ho detto una settimana fa al Papa devo dire grazie a loro per avere dato senso e significato al mio sacerdozio. Nel 1995 ho messo in piedi una comunità che accoglie minori come misura alternativa al carcere. È una casa famiglia che ora accoglie dieci ragazzi (le regole della Regione Lazio e del Comune di Roma ne prevedono massimo otto ma da noi ce ne sono sempre di più). Da allora la mia giornata passa tra impegni di vario genere, fra il carcere e la comunità. pd - Come è cambiato il carcere minorile?
Il carcere dei minori ha avuto storicamente la sua evoluzione dal momento in cui ho vi messo piede la prima volta nel 1981. Tra il 1981 e il 1984 tutti i minori che venivano denunciati passavano per il carcere minorile, quindi all'inizio ne ho visti passare veramente tanti. Poi, con l'entrata in vigore della legge 448 che regolamenta il nuovo sistema del Procedimento Penale Minorile, la presenza dei minori in carcere si è ridotta enormemente. È un centro, detto "centro di prima accoglienza", in cui un minore staziona dopo aver commesso il reato. A Roma si trova in via Agnelli, ma prima della 448 i ragazzi stavano all'interno del stesso Tribunale dei Minori perché il centro di accoglienza era stato allestito al piano superiore. Qui il ragazzo, nell'arco di due o tre giorni, deve essere ascoltato dal magistrato il quale, sulla base delle informazioni fornite da una equipe di un educatore, un assistente sociale e uno psicologo, fa un approfondimento conoscitivo fra quello che dice il ragazzo, quello che è riuscita a costruire l'equipe e il verbale di arresto della Polizia. In questo modo il magistrato può emettere un primo giudizio. È un cambiamento radicale: la maggioranza dei ragazzi non passa più attraverso il carcere minorile perché è nel centro di prima accoglienza che si decidono le misure alternative: l'inserimento in comunità, il riaffido alla famiglia o l'affido ai servizi sociali con permanenza in casa. Arrivano in carcere solo i ragazzi che hanno commesso reati molto gravi o i ragazzi recidivi. pd - Quanti ragazzi ci sono oggi nel carcere di Casal del Marmo?
Prima erano intorno ai 600-700 ragazzi l'anno; oggi ci sono tra i 40 e i 50 ragazzi di età dai 14 ai 21 anni. Di solito il carcere minorile accoglie ragazzi dai 14 ai 18 anni, ma c'è la possibilità, per i ragazzi già giudicati, di rimanere all'interno del carcere minorile in esecuzione della pena; così possono arrivare fino al 21° anno di età. Ci sono attualmente due sezioni maschili e una femminile, creata nel 1985/86. Fino alla fine degli anni '80 c'erano esclusivamente ragazzi italiani. Poi si è verificata una situazione nuova e inattesa per la 448, che prevedeva soluzioni nel caso di ragazzi italiani: in quegli anni è iniziata l'immigrazione e sono arrivati molti ragazzi stranieri, in particolar modo dal Magreb (Marocco, Tunisia, Algeria). Alla fine degli anni '80 sono diminuiti i ragazzi del Magreb e sono aumentati gli albanesi. Poi sono arrivati i ragazzi rumeni, che purtroppo sono in maggioranza a Casal del Marmo, insieme a una fascia di ragazzi rom, dell'area dei Balcani, e una piccolissima parte di ragazzi italiani, plurirecidivi o legati a reati molto seri.
All'inizio il carcere era molto più abitato, e questo creava tensioni ed episodi di violenza molto forte; man mano che con la 448 si è ridotta la presenza dei ragazzi, l'ambiente è diventato più vivibile e meno violento. Grazie agli educatori e a tutti gli operatori c'è grande attenzione alla persona e attenzione verso il recupero. Oggi alcuni dei ragazzi, innocentemente, dicono che questo carcere è quasi un paradiso; molti di loro sono stranieri e conoscono le carceri dei loro paesi, che sono molto più dure e problematiche delle nostre. pd - Come sono i rapporti fra di loro in un ambiente ristretto?
Sono adolescenti. Il rapporto fra loro in genere è abbastanza tranquillo anche se, come qualcuno mi ha insegnato, i ragazzi sono un po' come i fiammiferi, se sfregati prendono fuoco. Vivendo insieme possono entrare facilmente in collisione, quindi sfregarsi e prendere fuoco. In prevalenza però l'ambiente è molto sereno e tranquillo. C'è nell'Istituto tutta una serie di servizi: c'è l'accompagnamento dei ragazzi da parte degli educatori e delle figure professionali lì presenti, me compreso, e c'è la presenza massiccia dei volontari: questo rende l'ambiente meno pesante. I ragazzi sono impegnati in una serie di attività che lasciano loro poco tempo per oziare. Gli impegni sono prevalentemente nella formazione e nella cultura: per chi non ha finito la scuola media c'è la possibilità del recupero scolastico, per i ragazzi stranieri o nomadi c'è la prima alfabetizzazione, attività che sono svolte prevalentemente al mattino. Quelli che non hanno questi problemi possono utilizzare i laboratori: falegnameria, tappezzeria, e c'è anche l'area verde dove sono impegnati alcuni ragazzi. Nel pomeriggio ci sono il laboratorio teatrale e quello di cultura, portati avanti da associazioni esterne. Il sabato c'è il laboratorio per la realizzazione di un giornalino interno, "Garçon". Di domenica mattina ci sono i volontari: entrano al mattino, si incontrano con i ragazzi, li ascoltano, cercano di sostenerli nelle loro esigenze e richieste, fino a condividere con loro l'Eucarestia, che si celebra alle undici. pd - Com'è il loro rapporto con la fede, a prescindere dalla religione che professano?
In carcere si risveglia in loro il senso della fede, dettato dalla difficoltà, dal bisogno, dalla sofferenza. Perché il carcere rimane sempre e comunque un luogo di sofferenza, specie per degli adolescenti che sono in una fase evolutiva della loro vita e che, quindi, dovrebbero incontrarsi e viverla in libertà, a scuola, facendo sport e altre attività. Per necessità si trovano a vivere la loro adolescenza in modo molto più problematico. Arrivati in carcere, si trovano soli, a riflettere sulla loro vita, e questo diventa sofferenza e amarezza. Definirei il carcere come luogo di sofferenza e di attesa, attesa di vedere la porta aprirsi; chiedono infatti in continuazione: "quando esco?". E tutto ciò che trovano qui è solo un riempitivo di tempo: sono attività che poi non incidono sostanzialmente sulla loro vita e sulle loro scelte di vita; è questo l'aspetto negativo del carcere, e in modo particolare del carcere per i minori. La fede diventa allora una riscoperta dei valori importanti. Il cappellano deve avere, in questo loro percorso di riscoperta della fede, disponibilità, accoglienza, ascolto, pazienza, e deve valorizzare la fede di ognuno di loro, senza fare proselitismo, accompagnandoli a riscoprire i loro valori, le loro tradizioni, le loro istanze spirituali. Questo accade durante la settimana negli incontri individuali che faccio con loro. La domenica ci sono gli incontri in comune e ho la fortuna di averli quasi sempre tutti a Messa, siano essi di religione musulmana, ortodossa, o di altre religioni. A volte capita che siano in maggioranza musulmani, come gli arabi, e ortodossi, come i rumeni. Non ho mai avuto difficoltà con loro, anzi ci sono stati momenti in cui i ragazzi erano in maggioranza di religione musulmana e allora ho messo a loro disposizione degli spazi perché potessero fare la loro preghiera. Con gli ortodossi abbiamo invece il Vangelo in comune con cui poterci confrontare e crescere insieme. Per tutti l'Eucarestia diventa il momento dell'incontro, della condivisione e il momento in cui ci ritroviamo a pregare lo stesso Padre, nella diversità di ognuno. pd - Che rapporto hanno i ragazzi che le hanno con le loro famiglie?
Per gli italiani è facile in quanto le famiglie vengono a trovare i ragazzi anche due volte a settimana. Per gli stranieri è molto più difficile; però possono usare il telefono una volta a settimana per chiamare la famiglia nel paese di origine. pd - E con i magistrati?
A Roma ho incontrato delle persone eccezionali nella loro capacità di saper discernere l'episodio e il fatto dalla persona. I magistrati sanno interpretare la legge 448 nello spirito della legge stessa, che è quello di mettere al centro del processo minorile lo stesso minore e di renderlo anche arbitro della propria vita. Se avessero delle possibilità sul territorio, io credo che i nostri magistrati non manderebbero nessuno in carcere; anche quei magistrati che potrebbero sembrare più cattivi - i ragazzi fanno le loro classifiche - hanno dato sempre la massima attenzione alla persona. Quando si trova un percorso sono disponibili al massimo. pd - Il dottor Makovec, che è stato direttore a Casal del Marmo, ha detto che il carcere minorile dovrebbe essere abolito. Lei cosa ne pensa?
Condivido pienamente l'idea di Makovec che il carcere minorile vada chiuso. A Roma abbiamo annualmente mille minori denunciati, e in carcere ce ne sono solo 50. Ciò significa che 950 hanno usufruito di altre strutture, di altre realtà; quindi molto probabilmente, con un po' di buona volontà, di fantasia e di attenzione, credo sia possibile trovare delle soluzioni anche per questi 50 ragazzi e far morire il carcere per i minori. pd - In quanto tempo crede che questo possa accadere? E crede che siamo pronti a questo cambiamento?
La 448 è stata una legge, e quindi un sistema, posto ad esperimento: sono passati vent'anni e rimaniamo ancora con l'esperimento. Qualcuno ipotizza l'annullamento di questa norma per passare ad una norma più drastica. Mi auguro che questo non si verifichi. La normativa deve essere rivista e migliorata. Noi che viviamo il carcere tutti i giorni, osserviamo che in alcuni momenti per alcuni adolescenti c'è bisogno del fermo; ma non necessariamente il fermo deve essere il carcere. Se i nostri politici riflettessero, accompagnati e aiutati anche dagli esperti in materia, penso che si possano trovare soluzioni diverse. Faccio un esempio: io accolgo dieci ragazzi, alcuni di loro provengono direttamente dal carcere, in cui avevano la nomea di essere dei ragazzi violenti e inaffidabili. Le debbo garantire che è proprio da loro che ho ricevuto le soddisfazioni più grandi. Forse reagivano così proprio perché nessuno si interessava né si preoccupava di loro. Hanno trovato una persona che li ha accolti, che ha creduto in loro e c'è stata la trasformazione. Se questo è successo con loro, può succedere anche con tanti altri. La cosa più triste della mia esperienza carceraria è quando un ragazzo mi chiede aiuto ed io non posso aiutarlo, magari perché non ho spazio. Io credo che a tutti vada data una chance dopo che ha sbagliato. pd - C'è un ricordo particolare che le piace far conoscere?
Il primo ragazzo che ho portato in comunità negli anni '80 era un ragazzo napoletano, il tipico scugnizzo napoletano. Nemmeno quattordicenne, aveva abbandonato Napoli ed era venuto a vivere a Roma. Appena compiuti i 14 anni è stato arrestato e portato nel carcere minorile. A vederlo era proprio un bimbetto, ma con i compagni era di un'aggressività, spaventosa, sempre lì a litigare. Un giorno il magistrato mi chiese di portarlo in casa. Io rimasi interdetto, forse non ero pronto per un'avventura di questo tipo, ma nonostante tutto dissi "ok, ci proviamo". Gli altri operatori mi credevano impazzito. Il ragazzo era sempre in agitazione con tutti. Questo ragazzo è uno di quelli che sono stati in comunità con me per quattro anni; ha fatto tutto il percorso scolastico e poi è andato via. Dopo qualche anno mi ha chiesto di ritornare, si è diplomato e oggi è maestro. Potrei raccontare tante storie come la sua, di ragazzi riusciti, di storie riuscite.
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