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Pubblicato su politicadomani Num 68 - Aprile 2007
L'intervista
Le carceri minorili
vanno chiuse
Giuseppe Makovec ha iniziato la sua carriera professionale nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma. La testimonianza di un uomo la cui esperienza e umanità lo inducono a fare proposte scomode
di m.m. & d.s. "Le carceri minorili vanno chiuse". È così che esordisce il direttore della Casa Circondariale di Velletri. Il dott. Makovec ha iniziato la sua esperienza come direttore di un carcere proprio a Casal del Marmo, il carcere minorile di Roma che ha ricevuto la visita del Papa solo qualche settimana fa. "È tempo che le carceri minorili, posto che ci debbano essere, siano affidate a strutture educative. Oggi esse sono gestite dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, e nonostante ci sia personale valente, ben disposto e che si sacrifica, sono carenti nell'aspetto trattamentale. Prevalgono infatti l'apparato, la struttura, l'assetto burocratico amministrativo e custodiale, che soffocano tutte le ipotesi trattamentali, che sarebbero invece molto più utili. Meglio sarebbe affidare i minori a comunità terapeutiche e a comunità famiglia". pd - Come favorire la trasformazione e come utilizzare il personale che vi lavora?
Sarebbe utile indire una grossa conferenza nazionale e chiamare tutte le migliori comunità terapeutiche, familiari ed educative, sia laiche che religiose, attorno a un tavolo per un confronto, in modo che queste comunità si facciano carico della gestione delle carceri minorili. Il personale del Ministero della Giustizia che opera all'interno delle carceri minorili, agenti ed educatori, un grosso patrimonio di esperienze, di culture, di professionalità (ci sono 800/900 agenti di polizia penitenziaria nelle carceri minorili e negli uffici della giustizia minorile), potrebbero passare nelle carceri per adulti. Anche gli educatori potrebbero passare nel settore degli adulti. Il tasso di recidività tra i minori è altissimo: gran parte di quelli che passano nelle carceri minorili li troviamo poi nel carcere per adulti.
Il dipartimento per la giustizia minorile è una cattedrale nel deserto. È sin dagli anni '60 che si avvertiva l'esigenza di una direzione generale delle carceri minorili e di un dipartimento a sé stante. Noi ci siamo arrivati con quarant'anni di ritardo. E, forse, quarant'anni fa era utile staccare i minorenni dagli adulti e fare, con finalità diverse, una direzione generale per gli adulti ed una per i minorenni. Allora c'erano in carcere tremila minorenni dai 14 ai 18 anni; adesso, con il nuovo Processo Penale Minorile entrato in vigore nell'89, si dà maggiore attenzione al minore che delinque e si tende sempre di più ad adottare misure educative o paraeducative, lasciando alla detenzione vera e propria soltanto quei reati che destano particolare allarme. E anche questo sempre per un tempo molto limitato, perché la legislazione minorile è volta ad individuare quei provvedimenti che favoriscono un percorso educativo, un cambiamento di vita e di stile. Provvedimenti che non devono interrompere i processi educativi in atto. Il carcere minorile si applica sempre di meno perché la detenzione, allontanando il minore dall'ambiente, dalla famiglia, dagli affetti, anziché fare bene finisce per fare male. Molto meglio allora le altre misure educative: il collocamento in una comunità, l'affidamento al servizio sociale, la messa alla prova, la permanenza in casa con l'obbligo di frequentare la scuola. Il giudice minorile, nei provvedimenti che prende in attesa del processo e in ogni fase istruttoria, tende ad evitare che essi possano incidere negativamente sullo sviluppo della personalità e sceglie quelli a forte contenuto pedagogico. Ecco, quindi, che il carcere diventa un aspetto residuale. pd - Lei dice di chiudere le carceri minorili eppure la delinquenza minorile è in aumento e i media sono pieni di episodi di violenza commessa da giovani.
Occorre distinguere la delinquenza dalla detenzione minorile.
Da un punto di vista sociale il fenomeno della delinquenza minorile è un problema serio e grave che va affrontato a partire dalla famiglia e dalla scuola. Ma anche in questo caso bisogna stare attenti: quando si parla di 40mila denunce di minorenni l'anno, non significa che ci siano 40mila minorenni criminali; molto spesso i minorenni denunciati sono 10 mila e ognuno di loro ha tre o quattro denunce l'anno. Anche se poi ci sono delle vere e proprie sacche di criminalità. E qui abbiamo delle responsabilità. Ad esempio, per quanto riguarda i rom, negli anni '70 si era pronti a giustificare l'accattonaggio da parte dei bambini come un modo d'essere della cultura rom. Occorre invece avere il coraggio di dire che questa non è cultura, è sottocultura. Se andare a rubare e far chiedere l'elemosina ad un bambino all'incrocio di un semaforo per un rom è normale, è la regola, allora l'intervento si deve fare sul campo nomadi, sull'intera famiglia, prendendosi carico del problema nella sua completezza. Non si possono fare interventi solo sul minorenne, o un pezzetto di minorenne, perché non ha senso.
La detenzione minorile è invece un aspetto diverso del problema perché essa, in tutt'Italia riguarda non più di 400 minorenni. Per la maggior parte essi si trovano in carcere per reati contro il patrimonio, furti e rapine. Ci sono anche gravissimi reati di sangue e omicidi, ma sono pochi. La stragrande maggioranza dei detenuti minori sono extracomunitari. I minorenni italiani detenuti sono talmente pochi che il fenomeno è irrilevante da un punto di vista sociale.
Sicuramente di fronte a fenomeni di recidività enorme e a reati gravissimi, il contenimento è necessario. Occorre prendere il minore e metterlo in galera. Se però i mesi che il minore passa in galera (qualche volta anche anni) fossero gestiti da un'associazione esperta in trattamento rieducativo, forse i risultati sarebbero migliori di quelli che otteniamo noi. Perché il personale di polizia penitenziaria che sta negli istituti per minorenni è lo stesso delle carceri per adulti. Nonostante la loro buona volontà e i corsi a cui partecipano, che io chiamo corsetti, sono l'organizzazione, la mentalità e la struttura che non funzionano. Una dimostrazione c'è stata in occasione della visita del Papa a Casal del Marmo. Non avete provato un senso di inadeguatezza nel vedere i cavalli, le divise? Io, che come direttore sono nato lì trent'anni fa, avrei voluto vedere, invece, tanti animatori, tanti educatori e nessuna divisa. Non perché non stimi la divisa, solo che in quei posti non è adeguata, e gli agenti che fanno servizio nelle carceri minorili anche se indossano abiti civili la divisa ce l'hanno dentro. Sono le regole formali e burocratiche che limitano l'intervento educativo e pedagogico. pd - Che differenze ci sono tra il Codice di Procedura Penale dei minori e quello per gli adulti?
Il processo penale minorile è volto ad individuare e quantificare non tanto il quantum di pena, ma gli interventi pedagogici necessari affinché il minore cambi. Il nuovo Codice di Procedura Penale dei minorenni del 1989 dice: "in ogni stato e grado del procedimento l'autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell'amministrazione penitenziaria della giustizia. Si avvale altresì dei servizi di assistenza isituiti dagli enti locali". In concreto, all'articolo 19 del nuovo processo penale minorile (dpr del 22/08/1988 n° 448), sta scritto: "Nei confronti dell'imputato minorenne non possono essere applicate misure cautelari personali diverse da quelle previste nel presente capitolo. Le misure sono le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunità e la custodia cautelare in carcere". Si tratta di misure graduali. Prima ci sono le prescrizioni, se il giovane non le osserva c'è la permanenza in casa, se non la osserva c'è il collocamento in comunità, se scappa dal collocamento in comunità allora c'è il carcere. Importante è anche il secondo comma: "nel disporre le misure il giudice tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo 275 del codice di procedura penale, dell'esigenza di non interrompere i processi educativi in atto". A volte però i processi educativi non ci sono affatto, oppure ci sono processi diseducativi che invece vanno rotti. pd - Si parla spesso di limite minimo per la punibilità in sede penale, che in Italia è fissato a 14 anni. Lei cosa ne pensa?
Sono in molti a voler abbassare l'imputabilità. Oggi fino a 14 anni si è "non imputabili", quindi "irresponsabili". Dai 14 ai 18 si è imputabili ma si ha diritto a una pena così detta attenuata. C'è chi di fronte a certi crimini dei giovani delinquenti vorrebbe abbassare il limite della responsabilità penale a 12 anni. Questo è pericolosissimo. I 14 anni sono un caposaldo della nostra civiltà e quindi non si devono toccare. Però penso che possono essere toccati i 18 anni. Secondo me la maturità e quindi la responsabilità penale piena si può abbassare a 17 anni. Io sono convinto che a 17 anni, se non addirittura a 16 anni, un giovane, grazie anche agli stimoli che riceve dalla società (anche se ha abbandonato la scuola e anche se è analfabeta) ha già la capacità di distinguere quello che è bene e quello che è male, almeno per grandi linee, in maniera più precisa di quanto poteva succedere 40-50 anni fa. C'è chi vuole abbassare a 16 anni l'età per il conseguimento della patente o per votare; se riteniamo che l'individuo possa essere maturo per queste scelte, allora è giusto che paghi per intero le colpe penali. pd - C'è qualche progetto a cui lei teneva molto e che non è riuscito a far approvare?
Si. I giovani detenuti sono violenti e spesso vigliacchi perché non aggrediscono mai faccia a faccia: aggrediscono in gruppo contro il singolo e contro il debole. Io volevo, già 15 anni fa, far fare ai ragazzi di Casal del Marmo del pugilato. Il pugilato è uno sport che dà coraggio e sicurezza, uno sport pieno di regole, fatto di autodisciplina. Quando proposi il progetto all'Ufficio per la Giustizia Minorile, mi risposero di no. Mi dissero che era inopportuno perché violento. Un pugile, però, non è violento: sa dove colpire, sa quello che deve fare, non ammazza. Recentemente a Roma per una banale questione di traffico un giovane padre è stato ucciso a calci e pugni davanti ai suoi figli da un altro padre; una persona che pratica l'arte del pugilato non lo avrebbe fatto. Io volevo mettere su una piccola palestra di pugilato per insegnare ai ragazzi la disciplina del pugilato che è soprattutto controllo di sé autodisciplina aiutato dalla Federazione Pugilistica. Un altro po' mi arrestavano: i burocrati del Ministero non avevano capito niente.
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