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Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007
Arte
Nuovi impulsi dal MACRO
A Roma un modo di fare arte a cui la città non è abituata di Claudia Mariani La struttura museale del MACRO (Museo Arte Contemporanea Roma) si propone attualmente come un centro giovane e vivace nel panorama romano e non.
Museo molto giovane, nato solo nel 1999, nelle vecchie scuderie della Peroni in via reggio Emilia, il MACRO è già in fase di ristrutturazione.
Il progetto di restauro, ideato dall'architetto Odile Decq, non solo mira a dare al museo una nuova veste architettonica ed estetica, ma anche a fare di esso il simbolo di ciò che contiene e del nuovo rapporto di dialogo che i musei di ultima generazione instaurano con i cittadini.
Attraverso questa nuova struttura infatti, che con l'impiego di moderni materiali e di materiali trasparenti introietta in maniera diretta, senza mediazioni, il passante nel suo interno, si spera anche di introdurre a Roma un nuovo linguaggio architettonico con il quale la capitale non ha ancora familiarità.
Il più significativo impulso proviene dall'altra sede del MACRO, anch'essa in corso di ristrutturazione, sita nell'ex-mattatoio di Testaccio, luogo simbolo dell'architettura industriale.
È nel 2002 che il MACRO utilizza due padiglioni di questa costruzione per allestire mostre più sperimentali rispetto a quelle ospitate nella sede principale, ed è qui che il 21 aprile approderà la mostra "Into me/out of me", vero banco di prova per il giovane museo capitolino.
La mostra inaugurata al P.S.1 Contemporary Art Centre di New York e passata poi per il Kunst-Werke Istitute di Berlino, rimarrà a Roma fino alla fine di settembre.
"Into me/out of me", a cura di Klaus Blenbach è una collettiva che espone 120 artisti, Abramovic, Barney, De Maria, Rist, Hirst, Canevari, tra i più noti. Il tema conduttore della mostra è il corpo e la ricerca sulla forza e fragilità della fisicità, in una ricerca che coinvolge intensamente e mette alla prova anche il visitatore.
Il fruitore contemporaneo infatti, non è "abituato" e non è sensibilizzato, nonostante le immagini che offrono i media, ad atrocità corporali come la decapitazione, la tortura, l'impiccaggione e sofferenze fisiche simili, le quali invece secoli fa erano comuni e di dominio pubblico.
Gli artisti propongono e comunicano al pubblico mali e sofferenze "contemporanee" come gli autoritratti fotografici di Hannam Wilke (1993) con i quali ella documenta gli stadi avanzati del proprio cancro al seno, o il video di S. Landau (2000) in cui l'artista fa l'hula-hoop con un cerchio di filo spinato su una spiaggia israeliana.
Altra opera significativa, dove, a differenza delle precedenti, la sofferenza è rappresentata indirettamente e non è esplicitamente manifestata, è "Rwanda Rwanda" di Alfredo Jaar (1992). L'artista cerca di comunicare al mondo occidentale le sofferenze di circa un milione di persone uccise durante la guerra civile in Rwanda non dalla mano anonima delle armi di distruzione di massa, bensì da quelle di assassini noti, conoscenti e vicini di casa, che durante i massacri venivano guardati in faccia dalle vittime.
La mostra è quindi, non solo per il Macro ma anche per la capitale, un vero banco di prova, una occasione e una sfida per una città che per ragioni diverse è ancora troppo lontana dalle espressioni più all'avanguardia dell'arte contemporanea.
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