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Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007
Corno d'Africa
Somalia, il conflitto infinito
Dopo anni di lotte fra clan rivali le corti islamiche erano riuscite a garantire una tregua durata 15 anni. Da gennaio l'invasione dei militari etiopi e i raid Usa hanno riacceso le ostilità
di Francesco Stefanini "È una vera insurrezione, chiunque abbia un fucile sta combattendo. Ci sono gli uomini dei clan, quelli delle deposte Corti Islamiche, gli abitanti dei quartieri che cercano di difendere le loro proprietà, ma anche i ladri e i delinquenti comuni che sperano di rubare le armi agli etiopi per poi rivendersele" dice un'abitante del quartiere di Jamhuriah, contattato dalla Misna, l'agenzia che fa capo ai missionari comboniani, nella sua abitazione nella zona nord di Mogadiscio. "Tutta la mia famiglia è scappata io sono rimasto per evitare furti e saccheggi e pregare che qualche razzo o mortaio non distrugga tutto" aggiunge. Oltre un quinto della popolazione, 200.000 su un milione, è fuggito dalla città e la vecchia anarchia di sempre, se si escludono i sei mesi di gestione delle Corte Islamiche, si è di nuovo impadronita della città. Questa la storia di Mogadiscio che tra la fine di marzo e l'inizio d'aprile è squassata da combattimenti tra insorti e soldati etiopici - che agiscono a sostegno del cosiddetto "governo di transizione" - che lasciano sul terreno, secondo fonti locali, non meno di un migliaio di morti.
Dal 1991 in Somalia non esiste un'amministrazione statale e la gestione degli edifici pubblici come delle altre poche infrastrutture rimaste è rimasta nelle mani dei clan locali. Per sei mesi, da giugno 2006 alla fine dell'anno, le Corti islamiche avevano cercato di riorganizzare l'amministrazione a Mogadiscio e nel sud della Somalia, ma sono state estromesse a forza dal Governo di transizione (Tfg) con il sostegno militare dell'Etiopia e degli Stati Uniti. In questi ultimi mesi l'esercito di Addis Abeba è entrato in Somalia, d'intesa con Washington, che in gennaio ha anche partecipato alle operazioni militari con una "cannoniera volante" (un AC-130), soprattutto per rovesciare le Corti islamiche che nella seconda metà del 2006 avevano controllato Mogadiscio e il sud della Somalia assicurando per la prima volta in quindici anni una relativa calma. I raid aerei su alcuni villaggi della Somalia, che hanno provocato vittime fra i civili, sono stati aspramente criticati anche da membri importanti dello staff presidenziale statunitense, oltre che dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale. Dopo il loro arrivo nella capitale le truppe etiopiche e quelle del Tfg si sono ripetutamente scontrate con milizie locali; pur tra bilanci contrastanti e difficili da verificare gli ultimi scontri avrebbero provocato fino a un migliaio di vittime e circa 250.000 sfollati, secondo l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr). La presenza dell'Etiopia in Somalia, intervenuta nei mesi scorsi, malvista soprattutto dagli abitanti di Mogadiscio, è stata di recente criticata anche da organizzazioni per la difesa dei diritti umani che hanno accusato i soldati etiopici di crimini di guerra contro i civili somali.
La guerra di Mogadiscio ha sue radici ben più profonde delle dinamiche di contrapposizione fra clan somali diversi. Nel paese gli Hawiye (uno dei 4 principali clan della Somalia), che storicamente controllano la zona centro meridionale del paese, inclusa Mogadiscio, non accettano, infatti, che il presidente Yusuf (appartenente al clan dei Darod e, più precisamente, al sotto clan dei Majerteen, o migiurtini, particolarmente diffusi nel nord della Somalia, l'attuale Puntland) continui ad affidare incarichi politici ed economici a membri del suo clan o di clan alleati, marginalizzando tutti gli altri. "Tutte le ultime nomine politiche e militari hanno interessato solo esponenti del clan Darod. Lo stesso vale per alcuni recenti contratti, tra cui quello per la fornitura di beni e servizi alla missione dell'Unione Africana (Amisom), che il governo ha garantito ad aziende riconducibili a esponenti di spicco del clan Darod o a suoi alleati" spiega a Misna un parlamentare somalo che ha chiesto di restare anonimo.
Le forze fedeli al governo di transizione (Tfg) e i loro alleati etiopi sono contro tutte le altre milizie: è questo il conflitto. I vertici militari etiopi hanno fatto sapere che entro pochi giorni tutta la zona nord, considerata la roccaforte delle milizie legate alle deposte Corti Islamiche fra le cui fila si nasconderebbero presunti terroristi, sarà "ripulita". La posizione è ribadita anche dal primo ministro del governo di transizione Ali Mohamed Gedi, il quale ha precisato che "i combattimenti proseguiranno finché i terroristi non verranno liquidati"; intanto "il grosso delle forze inviate da Addis Abeba a Mogadiscio, il cui numero non è mai stato reso noto, si è riversato verso i quartieri centro-settentrionali e nell'area intorno al vecchio stadio di calcio, dove colpi di artiglieria pesante e mezzi corazzati sono impegnati in cannoneggiamenti continui", riferisce Misna. Nel frattempo, cresce la tensione anche a Kisimaayo, la terza città del paese oltre 500 chilometri a sud di Mogadiscio, dove continuano i combattimenti e le uccisioni. "C'è il pericolo che anche a Kisimaayo la violenza si accenda improvvisamente, anche se per motivi diversi. In città rischia di esplodere uno scontro di potere tra i Majerteen e i Marehan. Da tempo la tensione tra i due gruppi è alta per chi dovrà comandare in città", dice una fonte locale riferendosi ai due principali sotto-clan della tribù dei Darod.
E intanto leggiamo: "...siamo spiacenti, ma a causa dei combattimenti che si vanno sempre più intensificando stiamo avendo sempre più difficoltà a fare il nostro lavoro e ad aggiornare i nostri ascoltatori e lettori": è questo il comunicato diffuso dalla dirigenza, mentre la redazione di Radio Shabelle, una delle principali emittenti radiofoniche indipendenti della Somalia, annuncia, "con profonda tristezza", rallentamenti nella diffusione di notizie aggiornate su quanto sta accadendo a Mogadiscio e in Somalia.
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