Pubblicato su Politica Domani Num 7 - Sett/Ott 2001
590 - 604
L'"assistenza sociale" fra tardoantico
e alto medioevo
La testimonianza di papa Gregorio Magno
Alberto Foresi
Nell'attuale congiuntura economica, in
un momento in cui viene messo in discussione lo stato assistenziale,
in cui si scontrano pressoché quotidianamente i valori etici
della tutela delle fasce più deboli della società e le
purtroppo pressanti esigenze economiche nazionali ed internazionali,
riveste un certo interesse l'indagine volta a determinare in quale modo,
nelle epoche passate, nei momenti di crisi, le istituzioni si mettessero
al servizio dei bisognosi. Epoca cruciale per la nostra storia è
la seconda metà del VI secolo, allorché si verifica la
rottura dell'unità politica della penisola - unità che
sarà ricostituita solo nel corso del XIX secolo. A tal riguardo,
è per noi di enorme aiuto, per le notizie riguardanti le condizioni
di vita in tale epoca, lo studio delle epistole di papa Gregorio Magno
(590-604), raccolte cronologicamente in 14 libri, uno per ogni anno
di pontificato.
Il contesto storico-sociale entro cui si situa l'azione del nostro pontefice
è quello di una crisi gravissima. La penisola italiana era stata
duramente provata dalla ventennale guerra gotica, condotta da Belisario
e Narsete per volontà dell'imperatore Giustiniano, desideroso
di ricostituire l'Impero romano nella sua integrità. La conclusione
vittoriosa nel 553 di tale conflitto aveva sì liberato l'Italia
dalla dominazione ostrogota, ma l'Italia riunificata a Costantinopoli
era una terra vessata da profondi traumi, primo fra tutti l'abbandono
delle attività agricole e le conseguenti carestie che avevano
ridotto la popolazione in uno stato di profonda denutrizione. Dopo soli
quindici anni di pace, nel 568 un'altra invasione sconvolse nuovamente
la penisola: i Longobardi, sotto la guida del re Alboino, lasciata la
Pannonia, penetrarono in Italia, causando nuove distruzioni ancor prima
che fossero sanate le ferite inferte dal precedente conflitto. Per lunghi
decenni in Italia si assistette al continuo susseguirsi di campagne
militari, atti isolati, ma non per questo meno gravi, di guerriglia
e brevi ed instabili periodi di tregua. A peggiorare ulteriormente la
situazione fu lo stato di crisi attraversato dall'Impero bizantino,
il quale, esaurite gran parte delle sue risorse nella precedente campagna
di riconquista, in quel momento era più direttamente minacciato
dalla potenza persiana per poter destinare grandi forze alla difesa
della penisola. In tale frangente l'unica istituzione in grado di fronteggiare
l'incombente pressione longobarda fu il papato, che di fatto si assunse
l'onere della difesa dell'Italia dai barbari invasori, dirigendo operazioni
militari, trattando tregue e riscatti di prigionieri, prendendosi cura
delle popolazioni vittime degli eventi bellici. Gran parte di tale onere
ricadde su Gregorio Magno (590-604), il cui pontificato coincise con
il periodo cruciale di tale crisi, il quale assunse personalmente la
conduzione delle operazioni militari, nominò i comandanti delle
guarnigioni di Nepi e di Napoli (592), trattò tregue e pagò
riscatti per liberare i prigionieri, sostituendosi dunque alla latitanza
dell'Impero. È inoltre da sottolineare che Gregorio non si limitò
a queste azioni di maggior rilevanza bellica e politica: egli cercò
di alleviare le sofferenze delle vittime di tali situazioni, vittime
che non appartenevano solo alle classi povere ma anche ai ceti medio-alti.
Ruolo non secondario in tali evenienze era assegnato ad enti assistenziali
denominati diaconie, attestate per la prima volta nell'Epistolario di
Gregorio Magno, il cui nome sembra derivare direttamente dal verbo greco
diaconeo, corrispondente al latino ministro (= provvedere, somministrare),
senza aver alcun legame con la parola latina derivata diaconus, che,
dal III secolo in poi, designava coloro che avevano ricevuto il sacro
ordine del diaconato.
La prima diaconia attestata nell'Epistolario risulta essere sita in
Pesaro: nel febbraio del 595 il pontefice scrisse al notaio della Chiesa
di Roma Castorio, che si trovava a Ravenna in qualità di responsalis
presso il locale arcivescovado, chiedendo il suo intervento in una controversia
testamentaria che si dibatteva nella città marchigiana. A Pesaro
era infatti defunto un certo Adeodato, il quale aveva destinato tutti
i suoi averi ai poveri. Delle difficoltà erano tuttavia sorte
nell'esecuzione del lascito testamentario per l'intromissione di taluni,
desiderosi di venire illegittimamente in possesso delle sostanze del
defunto. Castorio fu perciò incaricato di garantire la corretta
esecuzione del testamento e fare in modo che le ricchezze fossero donate
alla locale diaconia per essere successivamente destinate all'assistenza
dei poveri. Risulta perciò evidente che tale diaconia era sovvenzionata
dai lasciti di privati cittadini. Una seconda diaconia è attestata
nella città di Napoli: nel marzo del 600 papa Gregorio inviò
una lettera di protesta al prefetto del pretorio d'Italia, Giovanni,
motivata dal fatto che egli aveva sospeso la regolare somministrazione
delle annonae (forniture di derrate alimentari) e delle consuetudines
(sovvenzioni in denaro) destinate alla diaconia napoletana.. E' da escludere
che la diaconia napoletana dipendesse dall'amministrazione finanziaria
della provincia, amministrazione cui era preposto il prefetto del pretorio:
la protesta di Gregorio è infatti basata sul venir meno di un'usanza,
non su un'irregolarità amministrativa. Nel dicembre del 600,
Gregorio Magno designa a capo di un'altra diaconia, della quale non
si specifica il luogo, il religiosus Giovanni. Questi sembra essere
immune dal controllo sia dell'autorità ecclesiastica che dell'autorità
imperiale. Il termine religiosus non ci consente inoltre di stabilire
se egli fosse un ecclesiastico o un laico, in quanto tale termine viene
riferito da Gregorio ad entrambe le categorie. La totale immunità
di cui godeva Giovanni sembra tuttavia escludere che l'ente di cui era
a capo dipendesse dalla Chiesa di Roma e da questo siamo indotti a ritenere
che egli fosse un laico. Poichè le diaconie al tempo di Gregorio
Magno non appartenevano all'amministrazione finanziaria imperiale, è
probabile che esse fossero degli istituti fondati dalle autorità
cittadine locali su cui il pontefice, in virtù delle loro funzioni
umanitarie, deteneva una forma di patronato.
Oltre alle notizie fornite dall'epistolario di Gregorio Magno, non si
hanno ulteriori attestazioni dell'esistenza di diaconie in tale periodo.
Non sappiamo se organismi simili esistessero anche a Roma, ove l'opera
caritativa ed assistenziale era stata sempre prerogativa della Sede
papale, sebbene non vi sia menzione alcuna, nei documenti a noi giunti,
di organismi specifici deputati a tali incarichi. Nei secoli successivi
le diaconie, mantenendo le loro funzioni istituzionali, sia sotto forma
di elargizioni in denaro che di distribuzione beni materiali e di derrate
alimentari, si diffusero notevolmente in varie città e principalmente
in Roma, ove, nella seconda metà dell'VIII secolo, sono attestati
ben diciotto di tali istituti, la cui gestione era affidata a particolari
comunità monastiche.