Pubblicato su Politica Domani Num 7 - Sett/Ott 2001
Sulla tolleranza
LA CONTRADDIZIONE DELL'UGUAGLIANZA
Spunti di riflessione sul problema delle identità
culturali
Augusto Pallocca
"Se esiste tra le società umane
un certo ottimo di diversità che non deve essere superato si
deve ammettere che questa diversità risulta in buona parte dal
desiderio, presente in ogni cultura, di opporsi alle altre culture che
la circondano
Le varie culture non si ignorano, all'occasione si
scambiano prestiti, ma, per non dissolversi, hanno bisogno che sotto
certi aspetti sussista tra loro una certa impermeabilità".
Così parlava nel 1971 il celebre antropologo francese Claude
Lèvi-Strauss, ricevendo i fischi e le grida di disapprovazione
dell'intera platea che, giunta a celebrare il pluridecennale impegno
dell'Unesco contro il razzismo, si trovò sbigottita ad ascoltare
le dichiarazioni forti e controverse dell'autore di "Tristi Tropici".
Parole, quelle di Lèvi-Strauss, che ancora oggi dovrebbero essere
paradigma e faro illuminante per una questione che, in un sistema improntato
sull'universalismo globalizzante, rappresenta un tema scottante non
più solo dal punto di vista morale, ma anche e soprattutto a
livello sociale e relazionale.
Parliamo, dunque, di razzismo inteso non solo come fenomeno di discriminazione
etnica, ma anche come sistematico rifiuto del più forte nei confronti
del più debole, come contrapposizione irriducibile tra un gruppo
dominante e uno o più gruppi minoritari. Come è noto,
la politica odierna, sempre in cerca di argomentazioni oltremodo chiare
e, per così dire, apodittiche, e l'opinione pubblica, da sempre
focolaio di tendenze erroneamente generalizzanti, per necessità
ed abitudine riducono drasticamente la complessità dell'argomento
in questione. Risolvono il problema da una parte rifugiandosi nell'affermazione
perentoria della propria identità culturale, dall'altra, volendo
'tollerare' oppure parlando con l'ambiguo sentenziare proprio di chi
considera gli uomini 'tutti uguali'. Ed è proprio a questo punto
che abbiamo il dovere di riflettere sul discorso di Lèvi-Strauss.
In sostanza, è necessario considerare che, se chi discrimina
ogni cultura diversa dalla propria incorre in un errore sistematico,
chi si proclama fautore della 'uguaglianza universale' in molti casi
non fa altro che inferire dei diritti individuali da una caratteristica
biologica, e cioè la comunanza di specie: ragionamento, questo,
che per certi versi riecheggia da lontano le teorie nazionalsocialiste.
In altre parole, senza eccedere in paragoni altrimenti impropri, non
c'è uomo senza cultura, e non c'è cultura che non abbia
una sua propria identità fatta di usi, costumi, credenze religiose,
modi differenziati di concepire il tempo, il lavoro, le emozioni, la
vita: affermare l'uguaglianza può, sotto certi aspetti, voler
dire eliminare le differenze che ci sono tra identità ed identità,
tra cultura e cultura, e dunque tra uomo e uomo. La xenofobia, sotto
questo punto di vista, non è più nociva della volontà
di creare una cultura 'planetaria'. Sono effettivamente due estremi
che coincidono.
Riportando il discorso su binari meno teorici e più attuali,
si può ragionevolmente affermare che le "Dichiarazioni Universali
di Diritti" elaborate nel periodo immediatamente successivo alla
conclusione del secondo conflitto mondiale, riflettono in realtà
considerazioni giuridiche e filosofiche tipicamente occidentali. Riflettono,
ancora una volta, non una temperata e fertile interazione tra culture,
ma una prevaricazione di un gruppo dominante su uno o più gruppi
minoritari. Lèvi-Strauss parla di 'impermeabilità' necessaria
alla cultura. Se tale caratteristica è fondamentale a un'identità
per sopravvivere alle altre in un rapporto dialettico, è tanto
più legittima quanto più la cultura capitalistica di matrice
occidentale fa sentire il proprio fiato pesante sul collo di quelle
minoranze che rappresentano le preziosissime custodi di un'umanità
ricca delle doti di memoria e creatività che si vanno dissolvendo
nel modello produttivo post-fordista.
Se dunque è legittimo e necessario un certo conservatorismo culturale,
se ogni gruppo costituitosi culturalmente deve, anche se intrattiene
rapporti di scambio fertile con altri gruppi, mantenere la propria concezione
della libertà, del tempo, della giustizia, in che modo può
essere ancora possibile una concezione universalistica dell'uguaglianza
umana? La dottrina buddista sostiene che l'unica uguaglianza possibile
è quella del diritto alla vita e allo sviluppo di tutti gli esseri
viventi nel quadro e nel rispetto della creazione. E lo sviluppo, se
non mi sbaglio, è sinonimo di autonomia, libera cooperazione
e accrescimento comune nel rispetto e nell'attenta conservazione delle
differenze.

