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Pubblicato su politicadomani Num 72/73 - Set/Ott 2007
Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge
CSM,
una storia attuale
Il Consiglio Superiore della Magistratura garantisce il corretto funzionamento della giustizia, secondo il dettato della Costituzione. Perché ciò sia possibile deve tutelare l'indipendenza e l'autonomia dei giudici, a partire dalla propria
Non è molto tempo che siamo stati chiamati a difendere la Costitu-zione Italiana. Si è parlato allora di uno stravolgimento dello Stato che andava a ledere perfino i principi fondanti del Paese, quelli enunciati nella prima parte della nostra Carta, giudicati intoccabili. Un mix pericolosissimo di poteri - economico, politico e mediatico - ha rischiato allora di far esplodere il Paese che, invece, con una mobilitazione di massa si è attivato per sventare il tentativo con lo strumento referendario. Fra le modifiche radicali c'era anche quella riguardante la giustizia, il suo ordinamento e i suoi organi (II Parte, Titolo IV, articoli 101-113).
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.", recita il primo comma dell'art. 3 della Costituzione. Sta alla terza gamba del nostro ordinamento statuale, alla magistratura, che è espressione del potere giudiziario, fare in modo che questo enunciato si realizzi concretamente. E poiché la cosa non è semplice, venendo poi noi dall'esperienza drammatica del fascismo e del secondo conflitto mondiale, particolare cura è stata messa dai nostri Padri costituenti affinché la magistratura e i giudici nell'esercizio delle loro funzioni risultassero effettivamente liberi e indipendenti da condizionamenti che potessero provenire dagli altri due poteri, quello legislativo proprio dei due rami del Parlamento, e quello esecutivo che è prerogativa del Governo.
L'Assemblea Costituente del 1947, dai cui lavori è nata la nostra Carta Costituzionale, ha discusso e trattato a lungo per arrivare ad un compromesso che mettesse d'accordo posizioni diverse. Durante il dibattito sono emerse preoccupazioni sulle quali si è trattato allora abilmente, "in punta di fioretto". Le medesime preoccupazioni sono state manifestate nel recente scontro politico, istituzionale e in mezzo alla gente. Di queste preoccupazioni però, complici anche gli organi di stampa, si è parlato "a suon di clava".
Quali fossero le perplessità dei membri dell'Assemblea Costituente e come le divergenze furono appianate, fino ad arrivare alla forma attuale, è dato di scoprirlo in uno studio tratto dal sito del C.S.M. e riportato qui integralmente.
"Una particolare attenzione il Costituente ha dedicato al problema dell'autonomia e dell'indipendenza dei giudici. A tal fine esso ha costituito la magistratura ordinaria in "un ordine autonomo indipendente da ogni altro potere" (art. 104) e ha creato un organo di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura, al quale è affidata l'intera carriera di tutti i magistrati (art. 105).
La creazione di quest'organo è vicenda che si consumò in un dibattito in seno all'Assemblea costituente svoltosi sul finire del 1947. I "padri della Costituzione" ebbero chiara la necessità di recidere il "vincolo di soggezione" della magistratura all'esecutivo e di costituire la stessa "in un ordine che per essere a sua volta autogovernato, cioè indipendente da ogni altro potere" assicurasse l'indipendenza dei suoi componenti (on. Leone).
Se ne individuarono i compiti (che l'on. Ruini immaginosamente definì "i quattro chiodi"): nomine, promozioni, disciplina, trasferimenti. Lungamente si discusse della sua composizione. Si fronteggiarono due tesi. L'una, ispirata dai magistrati e da quanti avevano a cuore una rigida interpretazione della divisione dei poteri (ad esempio, on.li Cortese, Buozzi, Dominedò, Perlingieri ecc.), voleva che il C.S.M. fosse composto soltanto di magistrati, perché solo in questo modo si sarebbe evitato il rischio di contaminazioni (on.Dominedò) e quello di far "penetrare la politica nelle decisioni singole; di far giungere indebite pressioni ed ingerenze professionali agli organi giudiziari" (on. Caccuri). L'altra tesi partiva, invece, dalla consapevolezza che bisognava evitare di creare un corpo separato e di fare il C.S.M. despota dell'ordinamento della magistratura (on. Grassi). Era da perseguire l'esigenza di realizzare un'armonia istituzionale (on. Varani), di assicurare continuità tra vita sociale e vita istituzionale e di far sentire un soffio di vita esterno all'ordine giudiziario (on. Leone), di impedire la creazione di uno "stato nello stato", di una "casta chiusa e intangibile" (on. Preti), "separata e irresponsabile" (on. Dominedò), un "mandarinato" (on. Persico), un organo del tutto separato dagli apparati amministrativi dello Stato e sottratto al controllo dell'organo di rappresentanza popolare, dei mezzi d'informazione e della stessa pubblica opinione (on. Cappi). La proposta contenuta nell'art. 97 del progetto originario di Costituzione assegnava al C.S.M. una composizione paritetica, con la partecipazione "fuori quota" del Primo Presidente della Corte di Cassazione quale Vice Presidente. Nel contrasto fra le due ricordate posizioni si pervenne ad un compromesso e fu accolto l'emendamento suggerito dall'on. Scalfaro nella seduta pomeridiana del 12 novembre 1947: due terzi dei membri togati e un terzo di membri laici.
Vi furono discussioni anche in ordine alla presidenza del C.S.M. Originariamente si propose di conferire la presidenza o almeno la vice presidenza al Ministro della giustizia o al Primo Presidente della Corte di Cassazione. Le proposte furono respinte al fine di garantire al C.S.M. un'indipendenza strutturale assoluta (on.li Calamandrei e Buozzi). Si optò per dare la presidenza al Capo dello Stato quale garante della sua unità (on. Buozzi), con una soluzione che rispondeva anche ad esigenze di "simmetria istituzionale" (on. Leone), alla necessità di impedire che il C.S.M. diventasse "un corpo chiuso e ribelle", una specie di "cometa che possa uscire per conto suo dall'orbita costituzionale" (on. Calamandrei). Consapevoli che il Capo dello Stato avrebbe potuto partecipare alla vita del Consiglio soltanto nelle occasioni solenni, si pensò di affiancargli un organo ausiliario, che avrebbe assunto la presidenza effettiva del Consiglio. Anche qui si pensò inizialmente al Ministro della giustizia o al Primo Presidente della Corte di Cassazione (on.li Leone, Condorelli, Perlingieri); si pervenne, infine, ad un compromesso, facendo sì che il Vice Presidente fosse eletto dal Consiglio tra i membri laici.
La creazione dell'organo di autogoverno poneva in una luce completamente diversa la funzione del Ministero della giustizia, al punto tale che qualcuno addirittura ne propose l'abolizione (on. Patricolo). Sta di fatto che al Ministro sono state conservate funzioni "residuali" relative alla organizzazione e gestione degli uffici giudiziari e dei servizi amministrativi, alla prevenzione ed esecuzione delle pene, alla vigilanza sulla legalità dei comportamenti del personale della magistratura."
Qualche perplessità Spettano al CSM (art.105 Cost.) nomine, promozioni, disciplina e trasferimenti dei magistrati. Tutti atti amministrativi, che, in Italia, sono assoggettati al controllo giurisdizionale del giudice amministrativo. Il nostro ordinamento giudiziario prevede, però, che quando il CSM nomina i capi degli uffici giudiziari, la nomina sia fatta di comune accordo con il Ministro della giustizia. Un'attività di chiara rilevanza anche politica in cui il controllo del giudice amministrativo dovrebbe essere assai ridotto.
Una sezione di nove membri (sei togati e tre laici) del CSM giudica i suoi giudici. La legittimità delle decisioni è decisa, però, dalla Corte di cassazione, l'organo di vertice della stessa magistratura. E poiché esiste solo una generica "condotta che renda il magistrato immeritevole della fiducia di cui deve godere o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario", è il giudice disciplinare a dover valutare, di volta in volta, se sia venuta meno la fiducia o se sia compromesso il prestigio; ed è a sua discrezione individuare la sanzione adeguata.
Il CSM ha progressivamente allargato la sua sfera di competenza con l'emanazione di circolari, regolamenti e direttive con efficacia esterna e, talora, con atti di indirizzo politico. Questa attività "paranormativa" arriva fino ad interpretare e, talvolta, ad integrare la legislazione vigente con effetti che, pur essendo privi di efficacia vincolante, sono tuttavia in grado di condizionare sia il Consiglio stesso, sia i comportamenti dei parlamentari, che sono i potenziali destinatari di quegli atti. Un'evoluzione che è stata al centro di vivaci discussioni.
 
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