Pubblicato su politicadomani Num 72/73 - Set/Ott 2007

Rivoluzioni all'italiana
In una intervista a Marco Bersani, di Attac Italia, le ragioni della manifestazione del 1° dicembre e la Legge di iniziativa popolare contro la privatizzazione dell'acqua

di Maria Mezzina

È stata indetta per il 1° Dicembre a Roma la manifestazione per il diritto all'acqua. Oltre al Forum dei Movimenti per l'Acqua, vi parteciperanno anche altre associazioni e tutti quelli che sono preoccupati non solo del tentativo di rendere merce una risorsa essenziale, ma anche del crescente divario che si è creato fra la politica e la gente. "Uno spazio aperto" lo definisce Marco Bersani, di Attac Italia, che abbiamo intervistato. La manifestazione servirà a sostenere la Legge di iniziativa popolare contro la privatizzazione dell'acqua e a fermare con una moratoria l'affidamento dei servizi idrici integrati ai privati. Ciò ha lo scopo di congelare i processi di privatizzazione che le recenti mobilitazioni hanno invece, paradossalmente, affrettato, dice Bersani. Una sorta di effetto contrario, che i movimenti stanno contrastando anche con le armi dell'ostruzionismo, per rallentare al massimo tutte le privatizzazioni già avviate o in fase di avvio.
Facciamo un passo indietro. La corsa all'accaparramento dei servizi idrici è cominciata quando si è iniziato a mettere in atto la legge Galli. Di questa legge il Forum condivide l'impianto generale: che ci sia una legge quadro che metta ordine nei servizi idrici sul territorio; che siano stati unificati in un unico servizio integrato captazione, distribuzione e depurazione delle acque; che ci sia una gestione dei servizi per Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), e non, invece, frammentata in migliaia di gestori, come era prima, con uno spreco enorme di risorse e di energie.
Ciò che i Movimenti non condividono è il fatto che la legge Galli apra le porte ai privati quando afferma che quello dell'acqua è un "servizio a domanda individuale" i cui costi debbono essere coperti interamente dalle tariffe. "La legge introduce anche l'idea che se io investo nel capitale, la tariffa deve comportare una remunerazione del capitale (pari al 7% dell'investimento fatto). Che è praticamente un via libera ai privati", spiega Marco Bersani. Lo scopo primario di un Ente di diritto privato (e quindi degli Enti pubblici trasformati in S.p.a.) è il profitto: gli azionisti che hanno investito nell'impresa un capitale proprio devono ricavare degli utili dai loro investimenti. La gestione privatistica dei servizi idrici, specie quando sono in ballo le spese per il rinnovo e la manutenzione di strutture ormai fatiscenti, porterebbe ad una feroce politica di risparmio (con diminuzione di personale, di investimenti e di servizi) e di aumento delle tariffe per bilanciare i conti e soddisfare gli azionisti. Il che significa un servizio peggiore a tariffe più alte. In tutto ciò sarebbero i ceti più deboli ad essere penalizzati, come sempre. Con il rischio reale, per di più (come è accaduto a Manaus in Brasile), che non essendo ritenute economicamente rilevanti intere zone, come le piccole comunità montane, o interi quartieri poveri di una grande città, il servizio per loro sarebbe peggiore, i costi sarebbero più alti e perfino una loro esclusione dalla rete di servizi sarebbe possibile.
Il punto è, invece, che il servizio idrico è un bene pubblico e che, come tale, la sua gestione deve essere affidata ad un Ente di diritto pubblico (gestione pubblicistica). L'Ente dovrà poi amministrare in maniera oculata esigendo tariffe differenziate a seconda della capacità contributiva dell'utente, del consumo di acqua, dell'uso che se ne fa e, nel caso delle aziende, dell'impatto ambientale che esse hanno sul territorio. E per chi spreca o inquina le tariffe dovrebbero essere anche fino a dieci volte più alte.
Ma le tariffe non possono essere l'unica risorsa economica. La legge di iniziativa popolare lo prevede all'Art. 12: i costi dell'acqua devono entrare nella fiscalità generale. Deve essere cioè lo Stato a coprire parte dei costi di investimento per il recupero e la modernizzazione delle strutture e per garantire l'erogazione del minimo vitale di 50 litri di acqua al giorno per persona. Come? Con il 5% delle somme destinate alle spese militari (che sarebbero ridotte della stessa percentuale); con 2 miliardi ricavati dalla lotta all'elusione e all'evasione fiscale; con i fondi derivanti dalle multe per violazione delle leggi a tutela del patrimonio idrico; con il 10% dell'Iva sulla vendita delle acque minerali; con una quota annuale delle tasse dovute dalle industrie inquinanti.
Tutte queste risorse destinate a regioni e comuni, dice inoltre la legge, "non rientrano nei calcoli previsti dal patto di stabilità interno previsto dalla Legge Finanziaria annuale" (Art. 12, comma 3): le amministrazioni locali cioè, non potranno giustificare alcun aumento fiscale da attribuire a spese per il servizio idrico integrato.
Come la mettiamo, però, con la normativa internazionale? L’Italia infatti fa parte del WTO (Organizzazione Mondiale per il Commercio), il cui Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (Gatt) prevede che i servizi siano privatizzati, allo scopo di favorire le liberalizzazioni del commercio mondiale e aprire la via alle multinazionali. La proposta di legge prevede che il governo italiano si impegni anche all'interno di Accordi e Trattati internazionali a far rispettare quanto è enunciato nell'Art. 4 in cui si stabilisce la natura di "servizio pubblico locale privo di rilevanza economica" del servizio idrico integrato. Si tratta di una posizione giuridicamente ineccepibile, chiarisce Marco Bersani, perché l'Unione Europea garantisce la libera concorrenza, ma prevede anche che ciascuno Stato possa decidere di sottrarre alla concorrenza qualsiasi bene ritenga necessario, dichiarandolo di pubblica utilità e non economico.
Il cammino sarà difficile perché nella fase della "ripubblicizzazione dell'acqua" , prevista nella proposta di legge agli Art. 6 e 7, sarà necessaria una forte volontà politica che dovrà essere sostenuta da una ancora più forte mobilitazione popolare. È una questione di democrazia e di recupero di credibilità da parte della politica.
Bersani è ottimista, perché questa classe politica - di destra e di sinistra - non può più permettersi di non ascoltare.

 

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