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Pubblicato su politicadomani Num 75 - Dicembre 2007
Incontri
Nobili auspici
e antiche ostilità
Il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse di Alberto Foresi
Le divisioni interne all'ecumene cristiana sono ormai da tempo oggetto dell'attenzione della Chiesa romana e, a partire dal Concilio Vaticano II, sono progressivamente aumentate le iniziative volte ad instaurare relazioni diplomatiche atte ad attenuare le tensioni e a consentire un rinnovato dialogo fra le parti. E se ogni frattura costituisce una ferita al corpo della Cristianità, oltremodo grave appare lo scisma con le Chiese ortodosse d'Oriente, sia per l'importanza storica ed attuale da esse rivestita, sia perché, al di là di ormai secolari ma sempre acuti dissensi, poche o nulle differenze vi sono in ambito teologico e dogmatico tra la Chiesa romana e l'universo ortodosso, a differenza di quanto accade con la cristianità riformata. Proprio nell'ambito di questo dialogo si è tenuta lo scorso ottobre a Ravenna, sede suggestiva in quanto storico punto di incontro tra la cristianità latina e la realtà politica imperiale bizantina, una sessione di lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.
Tensioni
Tuttavia, al di là delle dichiarazioni ufficiali conclusive, auspicanti una rinnovata fratellanza tra l'anima greca e l'anima latina della Cristianità, pochi in concreto i passi avanti. È infatti nuovamente emersa la necessità di ridiscutere il ruolo del patriarcato di Roma rispetto alle altre sedi patriarcali, prime fra tutte Costantinopoli, ora numericamente debole ma comunque detentrice dell'eredità imperiale romano-bizantina, e Mosca, storicamente meno prestigiosa ma forte del suo spesso discusso predominio su tutta l'area ex sovietica. E se c'è attrito tra Roma e l'Oriente, da non trascurare sono anche le tensioni interne alle stesse Chiese orientali, sia quelle da tempo emerse tra Costantinopoli e Mosca, che mal tollera il predominio onorifico costantinopolitano, sia quelle più recenti tra Mosca e le altre Chiese slave ortodosse che premono per il riconoscimento della propria autocefalia. Segnaliamo al riguardo che la delegazione moscovita ha abbandonato anticipatamente l'incontro ravennate in polemica con il patriarcato di Costantinopoli per la presenza della Chiesa ortodossa estone, la cui autonomia è riconosciuta da Costantinopoli ma non da Mosca che si ritiene tuttora preposta alla guida religiosa di tale nazione in quanto facente a suo tempo parte dell'Unione Sovietica.
Una soluzione difficile
Una soluzione è stata ipotizzata nel ritorno alla concezione della fratellanza fra i patriarcati così come era stata formulata nei primi quattro concili ecumenici, soprattutto, in modo più organico, nel IV concilio, tenutosi nel 451 a Calcedonia. In sostanza si affermerebbe così la sostanziale autonomia normativa ed esecutiva di ciascun patriarca all'interno del suo patriarcato, riconoscendo al patriarca di Roma un posto primario rispetto agli altri patriarchi unitamente dal punto di vista onorifico - cosa che già è riconosciuta - in virtù della fondazione petrina della Sede, privando tuttavia il pontefice di ogni potere effettivo sugli altri patriarcati e riservando ogni decisione comune agli esiti di sinodi fra i vari patriarchi. Questa soluzione è ovviamente auspicata ad Oriente, ma appare quanto mai improbabile che il vescovo di Roma rinunci alla rivendicazione del proprio primato anche nelle diocesi attualmente fuori dal proprio ambito patriarcale. Già Leone Magno, che non si era nemmeno recato a Calcedonia per rendere oltremodo evidente la superiorità sovraconciliare della propria carica di erede e successore di Pietro, si rifiutò di sottoscrivere le decisioni prese dal Concilio in tal senso e non appare probabile che l'attuale pontefice o qualche suo successore possano rivedere tali posizioni. D'altra parte è altrettanto improbabile che le Chiese ortodosse rinunzino alla loro millenaria autonomia per sottomettersi alla Sede petrina.
È anche opportuno ricordare che lo stesso patriarcato di Costantinopoli - a differenza di quello di Mosca dopo la sua restaurazione nel 1917 - non ha in realtà un potere effettivo nel proprio ambito territoriale in quanto in ogni nazione è presente una chiesa ortodossa locale autocefala che riconosce a Costantinopoli un puro primato onorifico privo di reali poteri esecutivi. Pertanto ogni accordo volto ad una ridefinizione del potere del patriarca di Roma non deve essere sottoscritto solo dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, ma anche dalle Chiese autocefale locali governate con un'amministrazione sinodale. Elemento questo che, moltiplicando le parti in causa, complica ulteriormente ogni possibile soluzione di compromesso.
La questione degli
Uniati ucraini
Il primato romano non è il solo elemento di dissidio tra Roma e l'Oriente. La freddezza con il patriarca di Mosca Alessio II è determinata anche da un'altra controversia, forse meno aulica ed ideologica ma sicuramente non meno profonda: la questione degli Uniati ucraini. Nel marzo del 1946, al concilio di Lviv, la Chiesa greco-cattolica di Ucraina - per decisione dell'Unione Sovietica e con il tacito consenso della Chiesa ortodossa russa -, abolita l'unione con Roma, la Chiesa metropolita greco-cattolica ucraina fu soppressa e sottoposta al patriarcato di Mosca. La cattedrale di San Giorgio diventò così la sede dell'arcivescovo ortodosso russo Makariy, le proprietà e le chiese dei greco cattolici furono incamerate, mentre per i vescovi e i sacerdoti che non accettarono il cambiamento cominciò un'età di lutti e persecuzioni.
Con il tracollo del regime comunista in Russia sul finire degli anni 80 si assistette al lento ma progressivo riemergere dei greco-cattolici ucraini. La Domenica delle Palme del 1991 il capo della Chiesa ucraina, cardinale Lubachivs'kyi tornò dall'esilio, nel 1993 furono create quattro nuove diocesi (Kolomyia-Chernivtsi, Sambir-Drohobych, Ternopil' e Zboriv), nel 1994 riaprì le porte l'Accademia Teologica di Lviv, mentre nel dicembre del 2003 la sede arcivescovile fu trasferita da Lviv a Kiev. Naturale punto di arrivo di questo processo è la richiesta alla Sede romana della costituzione di un patriarcato locale greco-cattolico, da intendersi sia come riconoscimento della storia eroica dei greco cattolici, sia come attuazione di quanto previsto dal diritto canonico cattolico per le cosiddette Chiese particolari. Se la Sede romana si è subito dimostrata favorevole all'accoglienza di tale istanza - e ciò anche in considerazione della sensibilità del precedente pontefice verso le chiese oppresse dal regime comunista derivante dalla propria personale esperienza -, ben diverso è il punto di vista del patriarcato moscovita, il quale vede nella costituzione in Ucraina di un patriarcato cattolico di rito greco una indebita ingerenza della Chiesa di Roma in una regione ritenuta di competenza esclusiva della Chiesa di Mosca.
In sostanza, al di là delle dichiarazioni di intenti, le concrete aperture verso l'unione tra Roma e l'Oriente appaiono estremamente risicate. È senza dubbio positivo che, nonostante le posizioni divergenti, il dialogo continui, tuttavia la strada verso un rinnovato ecumenismo appare tuttora impervia né si scorgono, stanti le attuali divisioni basilari, possibili evenienze risolutive.
La Commissione
La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, istituita nel 2003 per volontà congiunta di papa Giovanni Paolo II e del patriarca di Costantinopoli Dimitrios I, è composta da 60 membri, 30 Ortodossi (delegati delle 16 Chiese ortodosse) e 30 Cattolici, ed è moderata da due Co-presidenti, S.Em. il Cardinale Walter Kasper e S.Em. il Metropolita di Pergamo, Ioannis (Patriarcato Ecumenico). S.Em. il Metropolita di Sassima, Gennadios (Patriarcato Ecumenico) e Mons. Eleuterio Fortino (Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani) svolgono il compito di co-segretari della Commissione.
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