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Pubblicato su politicadomani Num 77 - Febbraio 2008
La morte di Bobby Fischer
L'antieroe
della scacchiera
L'unico americano campione del mondo di scacchi, divenne eroe nazionale e paladino del mondo libero contrapposto al sovietico Spassky. La battaglia tra Oriente e Occidente si combatté così anche sulla scacchiera di A.F.
Lo scorso 19 gennaio si è spento a Reykjavik - Islanda, ove, persa la cittadinanza americana, aveva trovato asilo - Bobby Fischer, da molti ritenuto il più geniale scacchista di tutti i tempi. Aveva 64 anni. Gran maestro a soli 15 anni, asceso agli onori della cronaca mondiale a 29 anni allorché, proprio a Reijkiavik, affrontò e sconfisse, dopo un inizio disastroso, il grande campione sovietico Boris Spassky. È il 1972, sono gli anni della Guerra Fredda e anche gli scacchi, come la corsa allo spazio, si tingevano di politica e di nazionalismo. Così Fischer, l'unico americano divenuto campione del mondo di scacchi, divenne involontariamente un eroe nazionale, il paladino del mondo libero contrapposto a Spassky, considerato un servitore del totalitarismo sovietico. La battaglia tra Oriente e Occidente si combatté così anche sulla scacchiera. E l'Occidente pacificamente vinse, come vincerà qualche anno dopo con l'implosione dell'universo sovietico.
Ma, al di là dei risvolti politici, il campionato del 1972 è la sfida tra la tecnica e il raziocinio di Spassky e la genialità da autodidatta e l'eclettismo creativodi Fischer, quell'eclettismo stravagante ed imprevedibile che lo indurrà nel 1975 a non presentarsi a difendere il titolo contro lo sfidante Karpov perché la Federazione Internazionale non aveva acconsentito ad accogliere tutte le modifiche al regolamento - spesso irrisorie - proposte dal detentore del titolo.
Così a tavolino lo scettro passò nuovamente in mano sovietica e di Fischer si persero completamente le tracce fino a che, nel 1992, accettò, a 20 anni di distanza, di giocare una nuova partita contro il vecchio rivale Spassky, incontro che si aggiudicò abbastanza facilmente. Di nuovo la politica internazionale si intrecciò con la sua vita: la sfida, presentata per volontà di Fischer come un campionato del mondo, anche se a quei tempi il campione era - e da allora è rimasto - l'azero Kasparov, si svolse infatti nell'ex Jugoslavia, nazione allora sottoposta dall'Onu ad un severo embargo che impediva anche la partecipazione ad eventi sportivi. Fischer non diede retta alle direttive del Dipartimento di Stato di non partecipare all'incontro e, per complicare ulteriormente la sua situazione, nel corso di una stravagante conferenza stampa sputò sul documento in cui gli veniva ingiunto tale ordine. Così da eroe nazionale Fischer divenne un criminale, ricercato e colpito da ordine di cattura. Gli fu ritirato il passaporto e da allora non fece più ritorno negli USA.
Dopo la vicenda jugoslava si persero nuovamente le sue tracce. Si vociferò che giocasse a scacchi in modo anonimo su internet, ma Fischer smentì sempre tali voci. Nel 2004 fu arrestato in Giappone su mandato statunitense per l'utilizzo di un passaporto irregolare. Scarcerato, ottenne il passaporto islandese e la facoltà di risiedere nella nazione ove aveva raggiunto l'apice della sua carriera scacchistica.
Con la sua morte scompare un campione singolare, molto lontano dagli stereotipi dello scacchista freddo, lucido e razionale. Campione sì, ma nevrotico, incapace sin dall'infanzia di dedicarsi ad altro al di fuori del gioco prediletto, misogino, di origine ebraica da parte di madre e autore tuttavia di considerazioni profondamente antisemite, paranoico, anarchico, irriguardoso e finanche istrionesco, totalmente alieno da ogni establishment. Ma, nonostante tutto ciò, genialmente lucido e creativo di fronte alla scacchiera. E proprio per questo, in un mondo sempre più freddo, asettico e perbenista, lascerà un vuoto profondo in chi lo ha stimato ed ammirato.
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