Pubblicato su Politica Domani Num 8 - Novembre 2001

Intervista a Gianandrea Gaiani
Direttore di "Analisi Difesa" mensile web di politica (www.analisidifesa.it)
giornalista di "Il foglio", "Panorama", "Libero"


Simona Ottaviani

In tempo di pace, che ruolo hanno le forze armate in Italia e la spedizione di corpi militari italiani all'estero?
Le forze armate italiane, in particolare l'esercito, sono state impiegate in due tipi di operazioni aventi due ruoli specifici: uno rivolto verso l'interno, con operazioni tipo "Vespri Siciliani", che sono state condotte soprattutto in regioni del sud, dove i reparti militari hanno svolto un ruolo di controllo del territorio e di supporto alla forze dell'ordine specie in zone o regioni dove c'erano problemi di criminalità molto elevata e molto diffusa; l'altro, il più importante, rivolto all'esterno, con compiti di presenza all'estero, di partecipazione ad operazioni considerate in ambito ONU di "Peace Keeping" (di pace) e in ambito NATO di "Peace Support Operation" (PSO); operazioni cioè di supporto alla pace come nei Balcani dove circa 8.000 militari e carabinieri sono impegnati nel mantenimento della pace e nel controllo del territorio per evitare che tornino a scoppiare conflitti etnici e tensioni. Sono settori nei quali l'Italia potrebbe presto rinforzare la sua presenza per rimpiazzare quei contingenti americani che oggi sono schierati nei Balcani ma che domani potrebbero essere chiamati a operare in Afghanistan o in altri teatri a causa della nuova crisi.

Riesce lei a trovare delle ragioni negli attentati di cui siamo stati spettatori circa un mese fa?
Credo che ci siano due motivi, uno di ordine politico-strategico, l'altro di tipo sociale.
Il primo. L'organizzazione di Bin Laden e i movimenti integralisti islamici in generale - Bin Laden è solo la punta di un iceberg - sono protetti dai servizi segreti di molti paesi arabi, e quindi dai loro governi, i quali hanno un obiettivo preciso: mettere le mani su alcuni paesi del mondo arabo di importanza strategica. L'Arabia Saudita, per esempio, è ricca di petrolio, il re è vecchio e sta per cedere il potere a un giovane erede che sembra essere l'uomo di riferimento per Bin Laden. Gli estremisti islamici cercherebbero di mettere in pericolo i paesi arabi che sopravvivono grazie all'aiuto occidentale, creando una contrapposizione tra i governi dei paesi arabi cosiddetti "moderati" - che hanno rapporti positivi con l'occidente avendo per di più al loro interno truppe occidentali che ne garantiscono la stabilità - e l'opinione pubblica che, essendo islamica e subendo una forte influenza dell'estremismo islamico, considera un insulto religioso la presenza di "infedeli" sul territorio nazionale o, peggio, vicino a La Mecca, come nel caso saudita. Per questo scopo era necessario creare una contrapposizione tra il mondo occidentale e il mondo islamico e colpire l'occidente per obbligare Stati Uniti ed occidente a fare guerre nel mondo islamico. E per obbligarli c'era solo un modo, attaccarli duramente come è stato fatto.
La seconda. In questi paesi la potenziale ricchezza è elevata, ma non viene ridistribuita tra la popolazione o nei diversi settori perché delle lobby (dittature militari come in Siria, lobby economiche o petrolifere, o lobby aristocratiche, come in Arabia Saudita), la gestiscono all'interno del loro entourage. Questi paesi sono caratterizzati da una notevole crescita demografica, la loro popolazione è composta per lo più da giovani che non trovano sbocchi né soddisfazione perché non c'è libertà economica né politica; oltre il 50% della popolazione sono giovani che aspirano ad avere i nostri diritti e le nostre libertà, conoscono il nostro mondo perché là tutti hanno le antenne paraboliche e guardano le nostre TV e i nostri programmi, tutti conoscono almeno una lingua straniera; esiste quindi una gioventù che sta crescendo, che aspira a libertà politiche ed economiche tipiche dell'occidente e che è in contrapposizione con una classe di governo e una popolazione più anziana radicata su strutture del passato, che sono anche strutture sociali che in realtà impediscono lo sviluppo sociale, politico ed economico. Il mondo islamico oggi è a un bivio: o crea con l'occidente un conflitto capace di fermare la diffusione dei valori sani dell'occidente, consistenti nella libertà in tutti i suoi aspetti, oppure si ritroverà presto a dover fare i conti con una popolazione che preme per avere maggiori diritti. Crescita demografica e condizioni di povertà generano fasce molto diffuse di povertà e di ignoranza che possono trasformarsi in bacino di arruolamento per i gruppi estremisti islamici, dove l'estremismo islamico può facilmente reclutare i suoi volontari o addirittura i suoi martiri.

Che ruolo hanno i mezzi di comunicazione in questa situazione? La conoscenza diffusa, possiamo dire "globale", degli eventi mondiali può contribuire a trovare soluzioni oppure rischia semplicemente di rendere le cose più difficili?
Abbiamo una situazione molto particolare: non ci sono informazioni e ce ne sono troppe. Gli inviati spesso stanno in albergo, parlano con informatori che raccontano quello che vogliono e a volte riferiscono notizie che da noi sono arrivate ore prima. Anche AL Jazeera, la TV araba che sta in Afghanistan, si muove dove e quando i Talebani la fanno muovere. Se cinque bambini afgani saltano su una mina, che a causa della guerra civile è lì da vent'anni, e i Talebani vogliono presentarli come vittime del bombardamento americano, portano lì AL Jazeera e dicono che si tratta di vittime del bombardamento americano. In guerra non si hanno informazioni non dico verificabili ma neppure lontanamente credibili. La guerra in genere comporta sempre una restrizione, però mentre in Vietnam o in Somalia un giornalista poteva aggregarsi a un reparto e seguire i combattimenti (io l'ho fatto per dieci anni come inviato di guerra), qui non è così; Bin Laden e il regime talebano vietano agli afgani di guardare la TV perché è contro la religione ma poi la utilizzano per lanciare comunicati, proclami, appelli alla Jihad, e per diffondere notizie di propaganda attraverso i canali internazionali (Bin Laden manda videocassette in giro, e l'ambasciatore talebano in Pakistan ogni giorno fa una conferenza stampa). Ma la contraddizione di un regime che bandisce la TV perché strumento di Satana e la utilizza poi andando in conferenza stampa ogni giorno, è solo apparente. Uscendo dallo schema religioso ed entrando in uno schema politico è chiaro che gli afgani non devono vedere la TV, perché collegandosi con la parabolica alla CNN o a un altro canale vedrebbero un mondo diverso da quello che raccontano i Talebani. Nello stesso tempo i Talebani e Bin Laden usano i nostri strumenti di libera informazione per fare propaganda nei nostri paesi; utilizzano quindi la nostra libertà a loro vantaggio e negano la stessa libertà al loro popolo per non subirne le conseguenze, trasformando così ciò che per noi è un valore, la libertà di stampa e di informazione, in un'arma per fini propagandistici. Dobbiamo renderci conto che i nostri criteri di libertà e tolleranza sono giusti e sono indice di grande civiltà nel momento in cui abbiamo di fronte persone o sistemi che condividono con noi questi valori; nel momento in cui abbiamo di fronte sistemi che li negano essi diventano quasi un'arma in mano al nemico. Inoltre - c'è della gente che ha detto, senza pensare di rendersi ridicola, che Bush e Bin Laden sono la stessa cosa perché fanno entrambi proclami bellicosi - i mezzi di informazione rischiano di diventare uno strumento di propaganda su entrambi i fronti senza riuscire a dare, per motivi pratici, l'unica cosa che la gente dovrebbe avere e cioè informazioni vere e verificabili. Da qui deriva anche la sensazione di confusione che si respira in giro di fronte a questa guerra.

 

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Num 8 Novembre 2001 | politicadomani.it