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Multilinguismo
L'Europa e le lingue: una sfida di lungo periodo Bruxelles vuole mettere in campo delle novità nell'apprendimento delle lingue straniere. E si trova al tempo stesso a dovere affrontare il problema della varietà culturale e delle traduzioni di Silvio Nocera Uniti nella diversità. Un ossimoro che ben presenta la sfida politica e culturale che l'UE si è posta con i suoi 450 milioni di abitanti, le 27 lingue ufficiali, le 60 diverse lingue correntemente usate e i 450 idiomi parlati. Il 2008 è l'anno europeo del dialogo multiculturale: la Commissione ha acquisito la relazione del Gruppo di esperti di alto livello per il dialogo interculturale. Essa segue i risultati della consultazione pubblica sul multilinguismo, settore che dal 1 gennaio 2007, sotto la guida di Leonard Orban, è diventato un portafoglio autonomo. Bruxelles si muove e da poco ha chiuso un'altra consultazione aperta a imprese, organizzazioni e società civile per testare il polso della diversità linguistica nel vecchio continente: è previsto infatti, per l'autunno 2008, l'invio di una comunicazione al Parlamento Europeo in previsione di un rafforzamento del quadro strategico per il multilinguismo. La varietà linguistica rappresenta un aspetto cruciale in termini di cultura, mobilità dei lavoratori e ricadute economiche. Già a dicembre 2006, il Parlamento e il Consiglio Europeo avevano inserito la "comunicazione nelle lingue straniere" nell'elenco delle competenze chiave "necessarie per la realizzazione personale, la cittadinanza attiva, la coesione sociale e le possibilità di occupazione in una società fondata sulla conoscenza". Il fatto che il multilinguismo sia divenuto una politica comunitaria a sé stante chiarisce il ruolo strategico che esso riveste per la coesione e il rafforzamento dell'Europa secondo la Commissione la quale, con la strategia di Lisbona, aveva già lanciato la proposta "lingua materna + altre due lingue". A febbraio 2007 Bruxelles ha inaugurato un'agenda politica per il multinguismo: gli ha riconosciuto una dimensione politica e l'ha messo in relazione con l'istruzione, l'apprendimento permanente, la competitività economica, l'occupazione, la giustizia, la libertà e sicurezza. L'Eurobarometro 2006 ha sottolineato che il 56% dei cittadini degli Stati membri dell'UE sa conversare in una lingua straniera, ma che solo il 28% dei dichiaranti può farlo in due lingue straniere. E se è vero che percentuali molto elevate si registravano in Lussemburgo (92%), Olanda (75%) e Slovenia (71%), quasi il 44% ha detto di non conoscere alcun altro idioma oltre la madrelingua. L'inglese si è attestato come lingua straniera più diffusa in Europa con il 51% degli intervistati, seguita da francese, tedesco, spagnolo e russo. Inoltre, il 67% dei partecipanti ha detto che l'insegnamento delle lingue straniere deve essere una priorità politica e che i sistemi educativi nazionali sono cruciali per affrontare il multilinguismo. L'indagine tracciava poi l'identik del tipico europeo multilingue: giovane istruito, spesso ancora studente, di un paese diverso da quello di residenza, che usa le lingue per motivi professionali ed è motivato ad apprendere. La consultazione pubblica svolta tra il 14 settembre e il 15 novembre 2007, per sondare l'opinione della società civile su politiche e attività della Commissione per il multinguismo, ha dato esiti inattesi: "È un risultato eccezionale nella forma, nella sostanza e nei numeri. I circa 2.500 feedback ricevuti rivelano quanto il problema della lingua sia sentito e, al tempo stesso, importante per l'aggregazione sociale, culturale, economica e politica" hanno dichiarato fonti interne alla Commissione. Secondo il 96% dei partecipanti, la diversità linguistica dell'UE merita un'attenzione particolare da parte dei politici poiché le competenze linguistiche sono importanti nella vita e nella professione. È essenziale perciò iniziare a studiare precocemente e vivere anche un'esperienza diretta nel paese in cui si parla la lingua studiata. Per gli europei la diversità linguistica è una ricchezza che va salvaguardata e inserita in un contesto che supera gli aspetti economici e funzionali e arriva all'identità. Più facile, inoltre, concludere affari all'estero conoscendo la lingua locale, motivo per cui le imprese sono interessate a investire nella formazione del personale. E se il dibattito sui costi di traduzione e interpretariato presso le istituzioni europee presta il fianco ad accuse di emorragia di denaro pubblico, gli intervistati pensano che le spese richieste dall'uso delle lingue ufficiali siano giustificate e debbano perfino essere aumentate. Nonostante tali spese siano cresciute con i recenti allargamenti, esse complessivamente non superano i 50 cent pro capite l'anno e nel 2006 le cifre relative all'interpretariato presso le istituzioni si sono attestate a circa 212 milioni di euro, mentre i costi della Direzione Generale Interpretazione sono stati di 114 milioni di euro. L'orientamento di Parlamento e Consiglio va comunque al risparmio: con il ricorso a documenti di lunghezza limitata, a banche dati, a traduzioni informatizzate, al telelavoro e all'esternalizzaizone, e, in più, con la creazione di un database terminologico comune. Quanto alle azioni di promozione dell'apprendimento delle lingue, la Commissione farà una comunicazione nell'autunno 2008. Per questo ha incaricato un Gruppo di alto livello di individuare possibili pratiche di lavoro. Ne sono venute fuori due proposte: l'uso nelle relazioni bilaterali tra Paesi membri delle lingue dei due popoli invece che quello di una terza lingua veicolare, e il principio della lingua personale adottiva, una sorta di seconda lingua materna, studiata, parlata e scritta intensamente, da integrare nel percorso scolastico e universitario. All'indomani, Leonrad Orban, Commissario Europeo al multilinguismo ha dichiarato: "Le proposte corrispondono al desiderio, espresso nel 2002 a Barcellona dai capi di governo, di far sì che l'istruzione nell'UE comprenda "la lingua materna più altre due lingue". Con una buona conoscenza delle lingue straniere si costruiscono legami e si promuove la comprensione interculturale". Un'ipotesi plausibile anche in vista di una piena integrazione degli immigrati: la lingua personale d'adozione potrebbe essere per loro quella del paese in cui hanno scelto di vivere, allo stesso modo in cui le lingue degli immigrati potrebbero far parte del ventaglio entro cui gli europei sceglierebbero. Una cosa è certa: per imparare le lingue prima si comincia e meglio è. Negli ultimi quattro anni la maggior parte degli Stati membri ha riformato la scuola primaria per introdurre l'insegnamento precoce di una lingua straniera. Il problema fondamentale incontrato è la carenza di insegnanti di lingue adeguatamente formati. Toccherà ora ai Paesi membri agire, mentre la Commissione sosterrà la messa a punto di un indicatore di competenze linguistiche per costruire una base comparativa per le loro scelte strategiche. In Italia i dati del Ministero della Pubblica Istruzione per il biennio 2005-2006 parlano di 43.347 insegnanti di inglese tra scuole elementari medie e superiori, sono 12.434 per il francese, 2.006 per il tedesco e 879 per lo spagnolo, a fronte di 6.553.605 studenti di inglese, 1.827.414 di francese, 256.662 di tedesco e 232.879 di spagnolo.
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Num 80 Maggio 2008 | politicadomani.it
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