Una breve storia, dell’ex repubblica socialista sovietica, dal 1991 ad oggi
1989, cade il muro di Berlino e l’URSS si sfalda. Due anni dopo, il 9 aprile 1991, la Georgia diventa Repubblica indipendente.
È Zviad Gamsakhurdia il primo Presidente della nuova Repubblica presidenziale. Alla guida del Paese sin dal novembre del ’90, quando la Georgia è ancora una repubblica socialista dell’URSS, è lui - letterato, oppositore del regime sovietico, attivista di Amnesty International, ripetutamente imprigionato - ad indire il referendum che proclama unilateralmente l’indipendenza della Georgia dall’Unione Sovietica. Il 26 maggio 1991 Gamsakhurdia sarà eletto Presidente della repubblica di Georgia nelle prime libere elezioni. Ma dura poco. Il 6 gennaio del 1992 viene deposto con un colpo di stato militare. Nel 1995 è Eduard Shevardnadze, già ministro degli Esteri di Gorbaciov, a prendere saldamente in mano le redini del potere. Le terrà fino al novembre del 2003, quando la “rivoluzione delle rose” porterà al potere l’attuale Presidente, l’allora 35enne Mikeil Saakashvili, il più giovane capo di stato di uno stato europeo.
Ma per la Georgia le cose non vanno bene, nonostante la crescita economica sia a doppia cifra (il 12% nel 2007, grazie anche agli investimenti stranieri).
A tenere alta la pressione ci sono le aspirazioni indipendentiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia Meridionale. L’Abkhazia, a maggioranza musulmana, è la regione più a nord confinante con la Russia e affacciata sul mar Nero per oltre 200km di costa. L’Ossezia del Sud, che è sostenuta da Mosca, mira ad unirsi all’Ossezia del Nord, in territorio Russo, dalla quale era stata separata in seguito alla dissoluzione dell’URSS.
La Georgia è accusata di tenere nei confronti delle regioni separatiste un atteggiamento di violenza e sopraffazione analogo a quello della Russia verso la Cecenia. Gli scontri violenti fra separatisti osseti e milizie georgiane, alla fine del 1991, provocarono circa 1.000 vittime. Furono allora fra i 60.000 e i 100.000 i profughi che lasciarono l’Ossezia del Sud per rifugiarsi lungo il confine con l'Ossezia del Nord e nel resto della Georgia. Una situazione drammatica per la quale fu istituita una forza di peacekeeping costituita da osseti, russi e georgiani, e monitorata dall’OSCE.
Ma c’è anche la posizione strategica in cui la Georgia si trova: al centro delle vie di transito degli oleodotti e gasdotti attraverso i quali arrivano in Europa, e negli Stati Uniti le materie prime energetiche. La percorre infatti il grande oleodotto BTC, Bakou-Tblisi-Ceyan, che porta il petrolio da Baku (Azerbaijan) sul mar Caspio, via Tbilisi, fino a Ceyan in Turchia, sul Mediterraneo, a soli 400 km di distanza dal porto di Eliat, sul mar Rosso, dove si incrociano le rotte verso l’India e gli altri paesi dell’Asia.
Durante la sua presidenza Shevardnadze dovette affrontare tre grossi problemi: l’opposizione interna del partito del suo predecessore, le spinte separatiste di Abkhazia e Ossezia Meridionale per le quali chiese l’intervento della Russia, e la corruzione dilagante. Fu la corruzione il motivo della rivolta popolare che portò alla “Rivoluzione delle rose” e alle sue dimissioni.
Saakashvili, l’attuale Presidente e leader della “Rivoluzione delle rose”, già delfino di Shevardnadze e poi suo principale accusatore, è il fondatore del partito di centro destra con il quale è salito al potere. La risoluzione della crisi della repubblica autonoma di Adjara nel maggio del 2004, conclusasi con le dimissioni del suo leader, Aslan Abashidze, spingono Saakashvili a ritenere che anche la crisi di Abkhazia e Ossezia del Sud possano risolversi nello stesso modo. Non sarà così. Sulla strada del giovane presidente, deciso interventista e amico dell’occidente, si sono messi di traverso i carri armati della Russia la quale lo scorso 26 agosto ha formalmente riconosciuto le Repubbliche di Abkhazia e Ossezia Meridionale, per “evitare un genocidio”, ha spiegato al mondo che sta assistendo alla partita senza capire ancora bene qual’è la posta in gioco.