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Pubblicato su politicadomani Num 85 - Novembre 2008
L’intervista
Imbarbarimento della finanza e crisi delle borse. Siamo sull’orlo di un nuovo ’29?
Risponde il Prof. Romeo Ciminello, docente di Etica e Dottrina Sociale della Chiesa presso l’Università Gregoriana di Roma e Presidente del Comitato Promozione Etica
di Maria Mezzina
Da più parti l’attuale crisi finanziaria è paragonata a quella del 1929. È giustificato il panico che genera questo riferimento?
La situazione di debacle dei mercati non ha nulla a che vedere con il 1929. Non solo perché è una realtà formata da attori e accadimenti totalmente diversi, ma anche perché le turbolenze registrate sui mercati sono frutto sempre più - e in maniera generalizzata e contagiosa - di “malversazioni nascoste” da asimmetrie informative che permettono ai cosiddetti “guru” della finanza, delle banche, dell’economia e del mercato, di fare scorribande speculative a prescindere dagli effetti che possano generare. E’ la crisi di una finanza creativa basata sulla “carta” più nota come “paper” come operazioni di cartolarizzazione che potremmo chiamare perciò una “Crisi di carta” distaccata dall’economia reale, ma che avrà certamente impatti su questa. L’intero problema del panico generato dalle borse, deve rientrare gradualmente e perentoriamente nel suo alveo per un semplice motivo: il mondo è comandato da gruppi di potere che hanno le loro strategie i cui obiettivi si sapranno soltanto molto tempo dopo i loro accadimenti e pertanto i segnali del sistema non sono di una distruzione, ma appartengono a quelle che si chiamano “lotte di potere”. Il riequilibrio pertanto si avrà non appena sarà di nuovo chiaro “chi è che comanda”in termini politico-economici.
Ci sono dunque interessi nascosti dietro la crisi?
Senza dubbio. Gli interessi economico-finanziari che stanno dietro la crisi, sono un intreccio di politica, finanza, economia e purtroppo anche di realtà mafiose e criminali. Basta chiedersi perché la Fed ha salvato Merril lynch, Bearn Stearns, Freddie Mac, Fannie Mae e AIG, facendo invece fallire solo Lehman Brothers. Si possono fare delle ipotesi: forse Lehman era più investita fuori dagli States e quindi non andava ad impattare più di tanto su interessi di partner statunitensi, farla fallire non aveva molta importanza per il governo americano; forse, dietro il suo fallimento, c’era l’interesse di qualche altra banca d’affari come Goldman Sachs, che già qualche mese prima veniva accusata proprio da Lehmanan di aver messo in giro voci negative sul proprio conto. Ancora nessuno ha spiegato questo fatto. Né è stato detto che, anche se i prezzi scendono, finché in borsa continuano ad esistere “compratori”, la borsa non è in pericolo. Semmai sono in pericolo coloro che si affidano a consulenti non in grado di saperli consigliare e che, vendendo, fanno gli interessi degli speculatori che poi compreranno a prezzi stracciati. E’ sempre il solito ritornello del capitalismo: chi è ricco si arricchisce ancor di più e chi è povero diverrà ancora più povero.
Crisi delle borse e crisi Alitalia. Ci sono punti di contatto fra le due vicende?
Si, c’è la poca trasparenza sulle vere motivazioni di certi comportamenti. I motivi di discesa o di salita esasperati, delle borse, in frangenti come questo, contengono sempre ragioni che certamente sfuggono al piccolo investitore. Nella vicenda Alitalia si nascondeva anche il cosiddetto “decreto salva manager”. Quindi dietro la scusa di salvare Alitalia si cercava l’impunità per taluni personaggi che dovrebbero invece essere allontanati dal sistema. Nessuno ha poi spiegato chiaramente perché Alitalia non doveva fallire. Qual era l’interesse di Banca Intesa? O meglio quale era la sua esposizione per essere così favorevole al salvataggio? Quali erano gli interessi della politica e del sindacato? Qual è stato l’ impatto in termini di possibili agiotaggi avvenuti sulla base delle notizie di vedita, fusione, acquisizione, dismissione ecc.? Perché è stata chiamata una cordata molto “conosciuta” politicamente, invece di trovare volti nuovi? Non si capisce perché nella realtà economico-finanziaria del nostro Paese ricorrano sempre i soliti nomi, ancorché a conti fatti, abbiano procurato al nostro Paese, più danni socio-economici che guadagni. Sappiamo bene infatti che invece di far pagare loro poi il dissesto, li si manda a casa con “laute liquidazioni”.
Allora, come interpretare quello che sta accadendo attualmente?
Innanzi tutto l’attuale crisi non ha nulla a che vedere con quella del 1929 perché è di natura finanziaria e perché risente della globalizzazione dei mercati i quali reagiscono a catena, per emulazione, in una sorta di effetto domino. Inoltre perché è stata causata dalle striscianti malversazioni dei subprime e dei buoni rating attribuiti a “titoli tossici”.
Oggi, le banche centrali hanno una possibilità di intervenire in termini di immissione di liquidità teoricamente illimitata, in quanto non esiste alcun tallone aureo. Il problema attuale è di natura monetaria, cioè di “liquidità” e di natura “operativa”, di affidabilità delle transazioni interbancarie. Le banche centrali in maniera concertata possono da un lato fornire liquidità, dall’altro assumersi l’impegno di garantire il buon fine delle transazioni bancarie e finanziarie.
La nazionalizzazione delle banche deve essere vista come una entrata dello stato nel capitale delle banche a garanzia, per scongiurare ovvie paure di fallimento del sistema. Ovviamente tale entrata non deve essere indolore per le banche, vale a dire che lo stato, che dovrà far gravare sui contribuenti il proprio impegno, deve operare in maniera pesante, non solo dal lato della gestione, ma soprattutto dal lato dei profitti, rivedendo cioè la posizione dei managers che solitamente, almeno nel nostro Paese sono usi a socializzare le perdite e privatizzare i profitti, magari con qualche sostanziosa stock-option. Anche se sappiamo che non è d’uso nel nostro Paese, dovremmo incominciare a dire “chi sbaglia paga”, ma questo non è stato possibile neanche per Tangentopoli quindi credo che la soluzione debba essere incisiva, ma diversa di “pagamento previo” di cui si potrebbe eventualmente discutere.
Evitare una crisi ancora peggiore salvando le banche, ma come andrebbe fatto questo salvataggio?
Il sistema bancario, non va salvato soltanto con la semplice immissione di liquidità oppure tramite l’acquisto di azioni da parte dello stato. La liquidità fornita alle banche, deve essere data con “vincolo di destinazione” e, soprattutto, a salvaguardia dell’economia reale, specie delle piccole e medie imprese. Non si può accettare che le banche “chiudano i rubinetti” dell’affidamento ad una PMI, oppure alzino i tassi in maniera spropositata, magari solo perché esposte, cioè prive di garanzia a causa di un titolo Lehman Brothers divenuto ormai carta straccia oppure perché tale affidamento era garantito dal titolo di un intermediario finanziario in odore di fallimento, consigliato se non “imposto” dalla banca stessa. Il salvataggio dovrebbe essere in qualche modo simile a quello escogitato dalle banche per i mutui: i mutui possono essere allungati “a babbo morto” con grande sollievo degli intermediari creditizi, i quali non solo non avrebbero più problemi di insolvenza, ma possono contare su una “ revisione continua” dei tassi e delle commissioni che permetterebbe loro di moltiplicare ulteriormente i guadagni. L’operazione per le banche dovrebbe essere la seguente: l’intermediario creditizio valuta tutti i suoi “prodotti tossici”, li somma e li accantona abbattendo il capitale, che sarà riequilibrato in parte da titoli di stato (z.c.) posti a garanzia e di ammortamento anche lungo diciamo trentennale e in parte da emissione riservata allo stato, di nuove azioni ordinarie, con pieni diritti economici e amministrativi. In tal modo non solo si sanerebbe il “gap” di fiducia, ma si potrebbe anche creare un mercato interbancario di questi “titoli tossici”, sulla base di incentivi collegati ad un loro più veloce risanamento.
Come giudica le misure che proibiscono la vendita di titoli allo scoperto?
La proibizione della vendita di titoli allo scoperto o quella del cosiddetto “ carry trade”, sono illusioni veicolate dalle comunicazioni delle autorità. In realtà il mercato ha le sue regole e, se vogliamo che sia in equilibrio, le regole, ancorché pericolose, vanno rispettate. Chi specula deve prendersi le responsabilità di perdere. E poi, esistono tanti di quei paradisi fiscali, bancari e finanziari in cui non solo queste regole non valgono, ma, potendo basare l’operazione sul cosiddetto “prestito titoli”, grazie all’informatica, possono svilupparsi migliaia di transazioni, praticamente incontrollabili, che influiscono negativamente sul mercato, ma contro le quali poco si può fare.
Come giudica, a partire da questa crisi, i comportamenti e il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali?
Il FMI e la BM (vecchie di più di 60 anni) dovrebbero essere ricostituite in funzione della nuova realtà di globalizzazione. Per impegno istitutivo, il FMI deve vegliare sull’equilibrio monetario mondiale. Quindi Strauss Kahn, in quanto direttore generale dell FMI, non dovrebbe comunicare al mercato cifre inopinabili come ha fatto con i 1400 miliardi di usd di impegno, anche perché potrebbero essere molti di più. Fortunatamente in termini economico-finanziari tutto è in certo qualmodo “recuperabile” è solo questione di tempo e di aggiustamenti necessari, quindi non ha senso allarmare indistintamente tutti, nella maniera come è avvenuto. Non è infatti, l’entità della cifra che spaventa, bensì la maniera con cui la si comunica al mercato. Invece di dare una secca notizia di quel genere, sarebbe stato opportuno innanzitutto riunire il G8, considerare le misure e poi darne comunicazione. Se si vuole veramente evitare panico, dobbiamo prima di tutto trovare le soluzioni e poi fornire l’entità del pericolo ai mass media. Inoltre i giornalisti dovrebbero dimostrare oltre ad una maggior competenza anche un maggior senso di responsabilità perché se i telegiornali aprono, come è accaduto il mattino del 10 ottobre, gridando il titolo “Crolla la Borsa di Tokyo, panico per le borse europee...”, anche il più razionale degli investitori sarebbe andato di corsa in banca a chiedere la restituzione della propria liquidità. E invece sappiamo bene che l’unica cosa che può far fallire una banca è proprio la restituzione dei depositi, come ultimamente è accaduto per Northern Rock. Almeno nel nostro paese questo non è contemplato in quanto ci sono state confermate tre misure: 1) che nessuna banca italiana fallirà; 2) che le banche partecipano al Fondo di garanzia dei depositi; 3) che lo stato è pronto ad entrare nel capitale delle banche qualora ce ne fosse bisogno. Un giornalista attento e che avesse voluto fare un servizio vero di comunicazione alla cittadinanza, lo avrebbe dovuto rimarcare. Capiamoci bene, non è che non ci siano rischi ovviamente, ma questi possono essere certamente attenuati dall’occhio vigile delle Autorità. Mettiamolo in evidenza!
Inflazione e recessione. C’è stato finora un balletto di cifre che non hanno convinto nessuno. Che cosa ci può dire a questo proposito?
Intanto l’inflazione che stiamo sopportando almeno in Area Euro è talmente elevata che è giusto che non se ne parli altrimenti il sistema avrebbe ripercussioni molto negative. Sappiamo bene che l’inflazione ufficiale altro non è che la punta dell’Iceberg. Per cui, per la nota teoria che, non vorrei dire dell’1 a 12, ma basta anche dell’1 a sette, se l’inflazione ufficiale, che è la punta visibile dell’iceberg, sta intorno al 4 o 5% quella effettiva moltiplicata per sette ci dà il senso dell’inflazione reale effettiva, che salari ed economia reale stanno concretamente subendo. Ciò lo si desume anche dalla “forza” dell’euro che in termini esterni, almeno nel cambio contro dollaro, continua ad essere “forte” mentre, in realtà, all’interno dell’Unione siamo tutti più o meno impoveriti. Basti pensare che prima dell’avvento dell’euro con un salario di 1.800.000 lire si viveva normalmente, adesso con 800 euro si sta sulla soglia di povertà. Ma allora che cosa è successo? Dove sta la verità? Forse non si è avuto il coraggio di far rilevare che tale forza dell’Euro, prima complice la Commissione europea e poi la BCE, è servita e serve tuttora al riaggiustamento del deficit USA. Che l’euro è una moneta dopotutto “slegata” dalla realtà politico-economica dei cittadini. Che l’Euro soddisfa non la crescita ma solo le teorie economiche del controllo della circolazione monetaria. Ciò che affermo infatti a mio avviso, si spiega con il seguente meccanismo: con un euro in grado di acquistare grosso modo circa Usd 1,60 in termini di cambio, si favoriva in realtà dall’altro una maggiore competitività sui mercati da parte USA. A ciò va aggiunto un ulteriore arricchimento dovuto alla speculazione sull’aumento dei prezzi del petrolio passati da 60 a 147 usd il 7 luglio di quest’anno e l’aumento delle materie prime e alimentari di circa il 30-40%. In questo modo la grande differenza ottenuta nel cambio, la si ripaga da parte dei detentori di euro, in termini di bolla speculativa sui prezzi. La conseguenza è che l’Euro continua ad essere forte e a pagare perciò le esposizioni Usa. Ecco perché occorre riportare l’Euro in “mano alla gente” dandogli un valore vero e non quello che oggi percepiamo: la mia esperienza è che la moneta di due euro (quattromila delle vecchie lire) giri oggi con una percezione di valore da parte dei consumatori intorno alla metà se non un terzo del suo valore teorico.
Quali, allora, i rimedi attuabili?
Non è facile né pensarli, né tanto meno attuarli. Manca infatti il fattivo intervento di un’autorità riconosciuta come super partes e il solito G8, o la BCE certamente, si preoccuperebbero di tutelare solo gli interessi di chi ha la maggior forza contrattuale oppure le ideologie economiche che li guidano.
Per quanto riguarda le soluzioni se ne potrebbero individuare alcune, a mio avviso, più impellenti:
- un ricambio generalizzato dei dirigenti tecnici delle attività economiche e finanziarie e un forte impulso alla formazione etica di tutti coloro che vogliano ricoprire incarichi dirigenziali, attivando quel meccanismo di controllo delle coscienze (come conoscenza effettiva delle responsabilità etiche e morali) oggi, nei fatti, totalmente disatteso..
- appurare il valore effettivo dell’euro distinto dal semplice rapporto di cambio, e legare il valore della moneta ad un bene reale (per esempio l’oro, non perché tornare indietro sia bene, ma perché è l’unico modo di porre fine alla finanza creativa che sfocia nel monetarismo sconsiderato); diceva un mio vecchio maestro dei cambi; quando finisce il petrolio si torna alla carbonella! Oggi, quindi, visto che non siamo stati in grado da quel 15 agosto del 1971di migliorare la fluttuazione delle monete, forse sarebbe meglio ripartire da qualcosa di certo;
- abolire i sistemi di rating esterni delegati alle agenzie Mody’s, S&P e Fitch per evitare conflitti di interessi e distorsioni del mercato di cui le agenzie sono responsabili. La valutazione del merito di credito dovrebbe essere lasciata esclusivamente agli intermediari finanziari che vogliano fare questo mestiere e che devono farlo sotto la loro piena responsabilità. Se i mutui subprime, i cdo’s e i ABS, non avessero avuto il Rating triplo o doppio A, certamente le cose sarebbero andate in maniera diversa. Sappiamo tutti infatti della dipendenza delle case di rating dalle imprese che ne chiedevano e soprattutto ne pagavano i giudizi con un conflitto di interesse di portata indescrivibile;
- ritornare ad una suddivisione temporale di raccolta ed impieghi in ambito creditizio; sappiamo bene infatti che una delle difficoltà che il settore ha è il cosiddetto rischio di trasformazione e questo a mio avviso è stata la causa del problema: non tutti possono fare tutto e forse ancora non siamo maturi per l’applicazione di un vero modello di banca universale. Quando infatti questa trasformazione avviene attraverso cartolarizzazioni, prodotti derivati, Abs, Cdo’s è chiaro che il sistema è destinato a destabilizzarsi. Sia perché non ci sono regole sia perché i rischi crescono in maniera esponenziale. Bene ha fatto perciò la Fed ad imporre alle banche d’affari o d’investimento pure (G.Sachs e Morgan Stanley) a farle rientrare nelle strutture di banche commerciali al fine di operare un maggior controllo su raccolta e impieghi.
- dividere i prodotti derivati in coperture assicurative e speculazione, e penalizzare gli intermediari che fanno affari a danno dei propri clienti. Soprattutto evitare che soprattutto l’impresa o il cliente che cerca un’assicurazione sia “irretito” con prodotti speculativi non adeguati.
- creare un sostegno effettivo per lo sviluppo della PMI, anche facendo ricorso a garanzie basate sulle disponibilità delle riserve esistenti presso la BCE, come già proposto a suo tempo da Romano Prodi, sia per consorziarsi, sia per esportare in paesi Labour intensive come la Cina l’india ed il Brasile;
- revisionare le Istituzioni internazionali (FMI, ONU, BM, ecc.) dando loro un nuovo taglio di intervento che sia rispondente alle necessità attuali e prospettiche;
- attuare un neocapitalismo etico che veda lo sviluppo dei singoli PVS sostenuto da un intervento bilaterale di Paesi sviluppati, in termini socio-economici. Soluzione questa a mio avviso unica in grado di creare nuovi veri mercati reali di sbocco.
In conclusione, cosa insegna questa crisi?
Innanzi tutto che è necessario tenere un atteggiamento razionale, senza allarmismi eccessivi e senza demonizzare l’intervento dello stato o le misure di emergenza che dovessero rendersi necessarie. Perché in economia non esiste una ricorrenza scientifica, non esiste il sistema migliore di un altro, esiste soltanto la soluzione più calzante e più efficace del momento, definita dagli uomini secondo le loro necessità. L’economia appartenendo alla branca delle scienze umane deve essere rispondente alle esigenze delle generazioni nel loro periodo storico, ricordando sempre che l’economia può essere politica e che la politica può essere economica, non solo in funzione del presente ma anche e soprattutto del futuro e del bene comune delle popolazioni.
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