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Pubblicato su politicadomani Num 89 - Marzo 2009
Crisi e mercato del lavoro
Politicadomani intervista Marco Vitale
Un grande economista italiano, profondo conoscitore delle ragioni dei mali dell’economia italiana e mondiale, troppo spesso inascoltato, risponde ad alcune domande del nostro giornale
Come giudica il “piano anticrisi” di Obama in relazione alla sua possibile efficacia sul mercato del lavoro?
Una osservazione generale e preliminare. Bisogna smetterla di illudere la gente che i governi abbiano la bacchetta magica per scongiurare le conseguenze di questa gravissima crisi. I governi potevano evitare una crisi così grande che è frutto di una visione irresponsabile dello sviluppo, del gigantismo bancario, della deregolamentazione bancaria, delle manipolazioni finanziarie. Ma ora che è successo, possono solo contenere gli aspetti finanziari della crisi ma non certo cancellarne magicamente le sue dure conseguenze. Le conseguenze dureranno per anni e peggioreranno se si continua a fare i giocolieri. I governi possono salvare le banche ed evitare che il circuito finanziario si ingarbugli ancora di più. È questo un intervento fondamentale ed indispensabile che può attenuare gli effetti della crisi. I governi possono anche avviare grandi opere pubbliche, il che può aiutare un po’ l’occupazione, ma è pur sempre una goccia nel mare in un paese che, come gli USA, perde 500-600 mila posti di lavoro al mese (l’Europa tutta insieme, ne ha perso solo 130.000, sino ad ora). Ma i governi non possono fare molto altro se non disperdere risorse preziose con interventi a pioggia o settoriali, di stampo populista assistenziale. Ad esempio possono prolungare l’agonia di GM ma non possono salvare GM, che deve essere profondamente ristrutturata e fatta a pezzi da manager capaci e totalmente nuovi.
Il piano Obama è stato sino ad ora social-populista ed ha pagato alcune cambiali firmate in campagna elettorale ed avrà perciò scarsi effetti sull’occupazione. Inoltre se continuerà ad essere gestito da persone come Geithner, Summers, Rubin, che fanno parte del clan dei commercianti di denaro che hanno causato lo tsunami, è difficile che susciti fiducia. Ora Obama può fare solo due cose serie: nazionalizzare le banche in crisi e liberarle dai titoli tossici (come fece Beneduce in Italia negli anni Trenta); aiutare le famiglie a fronteggiare l’onere dei mutui senza perdere la casa. Gli amici americani bene informati mi dicono che lo sta facendo. Se lo farà tireremo tutti un sospiro di sollievo. Se non lo farà la crisi USA diventerà una catastrofe. Un’altra cosa intelligente che Obama può fare è quello che gli suggerisce Fareed Zakaria su Newsweek: copiare il Canada. Infatti in Canada non c’è nessun fallimento bancario in atto e il World Economic Forum ha dichiarato il sistema bancario canadese il più solido del mondo, mentre quello USA è caduto al 40° posto; i prezzi degli immobili sono scesi alla metà di quelli USA; da 12 anni si chiudono i bilanci in attivo; gli interessi sui mutui non sono fiscalmente detraibili; il sistema sanitario costa il 9,7% del PIL mentre quello USA costa il 15,2% del PIL e l’aspettativa media di vita è significativamente più alta in Canada.
Gli Stati Uniti sono molto malati e per risanarli non ci sono bacchette magiche ma anni e anni di buon lavoro. Ma devono cambiare alcune idee di fondo. E di questo non si vede per ora segnale concreto, anche se nei suoi discorsi elettorali Obama aveva condiviso, con forza, questa necessità e aveva illustrato con chiarezza le idee di fondo che devono cambiare.
Qual’è la sua analisi dei provvedimenti presi finora dal Governo italiano per scongiurare una crisi occupazionale dalle proporzioni non ancora prevedibili?
Il ministro Tremonti è, in questo momento, il più lucido ministro dell’economia in Europa. Infatti è l’unico che ha capito che i governi oltre a cercare di salvare le banche possono solo tentare di ricostruire un nuovo quadro di riferimento internazionale, e su base europea, fare una politica coordinata e realizzare una grande emissione di bond europei che darebbero un grande respiro all’economia europea. E possono mantenere una gestione severa ed equilibrata della finanza pubblica. Possono, insomma, fare le cose grandi, che competono loro, piantare o riparare i grandi pilastri. Ma non possono e non debbono andare a correre dietro la crisi in tutti i suoi aspetti, tamponando a destra e a manca l’intonaco che si sbriciola. Purtroppo le grandi lobby (e Confindustria in prima fila) spingono anche il governo italiano su questa via della dispersione delle risorse che è anche la via della perdizione.
Per quanto riguarda il grande tema dell’occupazione non c’è nessuna speranza di fare qualche cosa di utile sino a che si continuerà a ragionare in termini macroeconomici e monetaristi. Le cose da fare sono tutte diverse e da giocare in chiave microeconomica:
- bisogna assicurare credito alle imprese minori;
- bisogna che gli enti pubblichi paghino tempestivamente e velocemente i loro fornitori;
- bisogna abbassare l’onere dell’IRAP sulle imprese minori;
- bisogna ridurre drasticamente (dicasi: DRASTICAMENTE) tutti gli ostacoli, formalità, oneri che gravano sulle imprese minori, che impediscono o ritardano il fare;
- bisogna sostenere le imprese innovative e non quelle schiacciate da sovrapproduzione come quelle automobilistiche;
- bisogna intervenire dove c’è bisogno e dove ci sono progetti pronti a partire, località per località, città per città. Per esempio a Napoli esistono tanti ottimi progetti, bloccati da anni dalla burocrazia comunale e regionale, che se messi in moto (e sono quasi tutti finanziabili sul mercato) potrebbero creare a breve migliaia di posti di lavoro. Ma per intervenire bisogna commissariare queste città liberandole da una classe politico-amministrativa affaristica e infame;
- bisogna sviluppare ed incentivare l’utilizzo dei contratti di solidarietà, contrastati dalla Confindustria per ragioni ideologiche, ma che si stanno applicando con ottimi risultati in Germania;
- bisogna assicurare agli artigiani lo stesso trattamento che hanno in Francia.
La lista è lunga e potrebbe continuare.
L’enfasi è sulle piccole imprese perché queste restano gli unici veri datori di lavoro, anche perché sono meno dipendenti dalle esportazioni. Le medie imprese, invece, dipendono molto dalle esportazioni e sono quindi colpite non tanto da una crisi del mercato italiano ma dalla caduta dei tradizionali grandi mercati di esportazione (e in primo luogo USA, UK, Spagna). Queste imprese devono tagliare o ridurre (con i contratti di solidarietà) l’occupazione, per sopravvivere. Di fronte alla caduta dei mercati esteri il governi non può fare nulla e non deve fare nulla, se non finanziare i necessari ammortizzatori sociali. Gli stimoli ai consumatori italiani non servono perché la ripresa è legata ai comportamenti dei consumatori dei mercati mondiali e, in primo luogo, USA, Cina, Giappone.
Fra le strategie antidisoccupazione, una delle più condivise è la partecipazione obbligata a percorsi di formazione, riqualificazione, addestramento. Come giudica questa strategia? Sarebbe efficace?
La strategia è corretta. In Germania la stanno applicando su larga scala. Naturalmente il risultato non dipende solo dalla correttezza della strategia, ma da come viene gestita e da chi la gestisce.
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