Pubblicato su Politica Domani Num 9 - Dicembre 2001
La cancellazione
del debito da sola non basta
IL DEBITO DELL'AFRICA
Il vero problema dell'economia africana
Daniele Proietto
Sembra che i paesi civilizzati del
nord del mondo abbiano finalmente intrapreso la strada dell'annullamento
del debito dei paesi africani. Lunghe riflessioni e ripetuti incontri
hanno convinto i "grandi della terra" dell'ingiustizia di
far pagare a persone ignare e incolpevoli gli errori e gli sprechi delle
élite politiche ed economiche dei loro stessi paesi e, in alcuni
casi, dei paesi più industrializzati.
Il raggiungimento di una situazione così disperata ha cause antiche
e sviluppi recenti.
Cessato il periodo coloniale e iniziato
quello della "indipendenza" dei paesi africani, la maggior
parte dei nuovi leader, incuranti delle diverse tradizionali formule
democratiche di governo conosciute, perpetuarono le linee antidemocratiche
e dittatoriali dei precedenti coloni, frustrando così gli ideali
di libertà che portarono all'emancipazione e tradendo i popoli
africani. Questo non riguardò soltanto le strategie politiche
ma anche quelle economiche: i paesi africani continuarono infatti ad
essere relegati al loro ruolo di "pozzo delle meraviglie" al quale le industrie europee potevano attingere per ottenere materie
prime a prezzi irrisori.
Ancora adesso il 51% delle esportazioni africane si dirige verso l'Europa,
il 27% nei paesi in via di sviluppo e solo il 7,5% è destinato
al commercio intra-africano. I ricavati delle vendite all'estero sono
spesso instabili e bassi, e non permettono ai paesi produttori di disporre
di risparmi interni, necessari per lo sviluppo locale e per l'importazione
di prodotti intermedi di cui l'Africa è priva. L'unica via d'uscita
a questa situazione sembrava essere quella dei prestiti; e in questo
modo si sono mossi tutti, i deboli governi africani e le forti organizzazioni
finanziarie mondiali (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale)
controllate dai paesi ricchi.
Tra il 1970 e il 1979 il debito estero dei paesi in via di sviluppo è aumentato del 400%; tra il 1974 e il 1982 il valore nominale
del debito della maggior parte degli Stati africani è passato
da 140 a 560 milioni di dollari; nel 1993, nonostante l'attuazione dei
Programmi di Aggiustamento Strutturale (Structural Adjustament Programmes,
SAP) da parte delle potenze mondiali, il debito dell'Africa subsahariana
era cresciuto del 354%.
Le nazioni più ricche non hanno saputo, né voluto sostenere
una posizione di saggia cautela in quella che ormai si andava rivelando
una delle scene più drammatiche della storia africana. Se da
un lato non si può non biasimare i paesi poveri per i prestiti
sconsiderati da loro richiesti e per l'errato utilizzo del denaro ricevuto,
dall'altro è evidente che le nazioni ricche avevano tutto l'interesse
ad invogliare questi paesi all'indebitamento proponendo condizioni di
prestito particolarmente vantaggiose. In questo modo si poteva facilmente
smaltire l'abbondanza di "petroldollari", guadagnati grazie
all'aumento del costo del petrolio, e di "eurodollari", dovuta
al disavanzo commerciale degli Stati Uniti nei confronti dell'Europa;
abbondanza che, se tenuta in circolazione, avrebbe provocato instabilità sui mercati finanziari.
I vari tentativi di risanare la situazione venutasi a creare per effetto
dell'eccesso di prestiti, non hanno mai brillato per slancio umanitario
(il principale intento dell'Europa era infatti quello di stabilizzare
l'economia mondiale senza recare troppo danno ai paesi ricchi), e hanno
finito col rendere gli Stati africani sempre più dipendenti dagli
aiuti del Nord del mondo.
La situazione è tale, e gli ultimi gravissimi episodi internazionali
lo dimostrano ampiamente, che occorre cercare modi per sanare questa
situazione in maniera definitiva.
Le tappe da seguire per imprimere una svolta a questo processo di continuo
impoverimento, aggravato, tra l'altro, da disastri ambientali quali
siccità e alluvioni, non sono molte, ma richiedono un grande
sacrificio collettivo e una analisi attenta della situazione: occorrerebbe
concedere prestiti solo a condizione che siano rispettati i diritti
minimi dei cittadini dello Stato beneficato; bisognerebbe scoraggiare
la mentalità della dipendenza eccessiva dagli aiuti internazionali
e far sì che i paesi africani investano nella formazione dei
loro cittadini e mettano i lavoratori qualificati e gli intellettuali
in condizione di poter offrire la propria competenza al servizio del
loro paese; questo significa eliminare le cause che li costringono ad
emigrare, siano esse di tipo economico che di tipo politico (dittatura
e guerre).
L'inefficienza, e in alcuni casi l'assenza, in passato, di reali interventi
di aiuto, ha fatto sì che si sia giunti all'"ultimo appello",
ad un punto cioè in cui bisogna fare veramente qualcosa affinché
l'Africa non resti emarginata dai processi della globalizzazione, e
non torni di nuovo "incatenata", schiava dell'economia mondiale.
[Approfondimenti: La
Civiltà Cattolica, vol.IV, 20 ottobre 2001]