Pubblicato su Politica Domani Num 9 - Dicembre 2001
L'impatto culturale
dell'entrata nell'euro
SOTTO UN'UNICA MONETA
?
Dubbi e riflessioni sulla futuribile Europa-nazione
Marianna Bartolazzi
Sono passati millenni dalla nascita
e morte dell'Impero Romano che governava sotto un unico potere gran
parte dei territori d'Europa. La storia porta con sé, nei secoli,
innumerevoli cambiamenti, e "l'Europa che noi conosciamo"
non è più quella "occupata" dai Romani. Allora
sì, che noi Italici, quando non eravamo relegati al ruolo di
schiavi, potevamo vantarci della nobile derivazione dalla stirpe di
Enea e governavamo il mondo, imponendo la nostra egida politica ed economica
su tutte le terre conosciute.
Brevi reminiscenze storiche, torniamo ai nostri giorni. Nessun popolo
fortunatamente è più padrone del mondo intero, o almeno
così vogliono farci credere, e la nostra "vecchia Europa"
è diventata "il continente delle libere nazioni", grazie
agli avvenimenti del diciottesimo, del diciannovesimo e, in parte, del
ventesimo secolo.
Eppure neanche l'antica netta distinzione fra le libere nazioni europee è più così netta, ormai. Siamo entrati in Europa!
Naturalmente non si tratta, non ancora, di una unione politica (benché
il Parlamento Europeo ottenga sempre maggiori poteri decisionali e possa
deliberare su temi di sempre maggior rilievo), bensì di una unione
economica: a gennaio del 2002 tutte le nazioni europee appartenenti
alla UE faranno circolare al loro interno una moneta unica, l'euro.
Finalmente per l'Europa è in arrivo la possibilità di
un potere economico compatto, capace di affrontare i colossi americano
e giapponese e di favorire con qualche possibilità di successo,
per il benessere di tutto il pianeta, un riequilibrio e un riassetto
economico migliore interno (in Europa) e a livello mondiale.
Bei propositi, propositi di giustizia. Tuttavia, com'è giusto
che si faccia quando è vicina una grande svolta storica, è necessario riflettere sulle conseguenze che una piccola moneta come
l'euro potrebbe portare non solo all'assetto economico ma anche all'assetto
culturale europeo.
Proprio in questi giorni stiamo vedendo quanto sia difficile non solo
prendere la decisione se intervenire o meno militarmente in Afghanistan,
ma soprattutto che questa sia la decisione di un'Europa politicamente
compatta, almeno per quanto riguarda la sua politica estera.
Com'è naturale, i diversi governi hanno deciso in tempi diversi,
a seguito di discussioni parlamentari a diversi livelli; e questo non
solo perché ci sono al governo maggioranze diverse, risultato
dei diversi esiti elettorali, ma anche perché è diverso
il "cultural background". Con questo termine sono certa di
tirarmi addosso un morettiano "ma come parli?", giustamente,
sottolinerei.
In italiano il "cultural background" non è altro che
l'assetto culturale di un paese, l'insieme dei costumi, delle tradizioni,
delle lingue parlate, dei modi di pensare. Un tedesco è culturalmente
diverso da un inglese, o da un italiano, o da un francese. Un'affascinante
diversità.
Stiamo cercando di creare un'Europa unita economicamente: questo è
già un passo difficile da compiere perché i vari paesi
hanno fatto grandi sforzi per raggiungere i richiesti (dal trattato
do Maastricht) determinati parametri economici uguali per tutti. Tuttavia
ciò che unisce o che avvicina in campo economico, porta, a lungo
andare, ad un sentimento di comune identificazione e di unità,
che a tutt'oggi noi europei sentiamo poco, ma che lentamente potrebbe
emergere, quale immediata conseguenza dei cambiamenti storici che stiamo
vivendo.
Questo sentimento europeista si poggia, o almeno lo farà in futuro
su un terreno fertile di crescita? Saremo in grado, popoli diversi come
siamo, di riconoscerci come appartenenti ad uno stesso continente, unito
economicamente e culturalmente il quale, piuttosto che schiacciarle,
faccia tesoro delle diversità culturali sue proprie e le renda
presupposto di una grande cultura europea? Saranno in grado i nostri
governanti, o saranno anche solo interessati, alla promozione di un
processo di avvicinamento e conoscenza delle diverse culture che accompagni
e dia dignità politica e culturale al già avvenuto avvicinamento
economico? Spero di sì, e questa aspirazione non vuol dire affatto,
come qualcuno potrebbe credere, che si tratta di rinunciare in qualche
modo alla nostra italianità. Non è promuovendo in maniera
forte la conoscenza tra le varie culture che si annienta la propria,
anzi la si valorizza pèer la sua specificità.
Se entrassimo in un'Europa della moneta unica, in un mondo del lavoro
senza frontiere, in un'università internazionalista e interculturale,
senza avere le giuste armi di conoscenza e la capacità di accettazione
dell'altro, del diverso - seppure vicino di casa da millenni - rischieremmo
la totale confusione, saremmo preda di una paura inconsulta che avrebbe
come conseguenza la scomparsa delle nostre radici e lascerebbe il posto
ad un amalgama indefinito con il pericolo reale della perdita della
nostra identità di cittadini d'Europa e, come tali, di cittadini
del mondo.
È, forse, questa identità il tesoro più importante,
come scriveva Walt Whitman,
"L'individuo io canto, una semplice singola persona,
eppur pronuncio la parola Democrazia, la parola In-Massa.
(
)
La Vita immensa in passione, impulso, potenza,
piena di gioia, per le azioni più libere che si compiono
sotto la legge divina,
l'Uomo Moderno io canto".
[dalla raccolta di poesie di W. Whitman,
"Foglie d'erbe", Fabbri editori, 1988]